NUORO- Un’odissea durata giorni, fatta di attese infinite, diagnosi errate e una crescente preoccupazione per le condizioni di salute del figlio. È la storia che ci racconta Stefano, padre di un ragazzo di sedici anni, vittima di un presunto caso di malasanità al Pronto Soccorso del San Francesco.
L’ODISSEA – Tutto ha inizio circa quindici giorni fa, quando il ragazzo comincia a manifestare una febbre persistente. Dopo aver consultato il medico di base e aver effettuato diversi accessi al pronto soccorso, la diagnosi è sempre la stessa: “niente di grave, continua con l’antibiotico”. «La prima volta, racconta l’uomo, arriviamo verso le 19: bussiamo e ci viene dentro di aspettare. Dopo 40 minuiti entriamo per il triage. Poi, per la visita “ufficiale” con una dottoressa argentina ne passano altre sette: per lei mio figlio non ha nulla e lo rimanda a casa dicendo di proseguire con l’antibiotico e aggiungendo il cortisone». «Mio figlio veniva visitato da dottori stranieri, pagati profumatamente per lavorare al pronto soccorso a causa “dicono” della carenza di medici nell’Isola ma questo non giustifica le diagnosi ricevute superficialmente, che lo rimandavano a casa tranquillizzandomi – racconta Stefano con amarezza -. Intanto, la febbre non accennava a diminuire e io iniziavo a preoccuparmi seriamente. Dopo tre giorni, ci ripresentiamo al pronto soccorso facendo la stessa trafila. Questa volta ci è andata bene poiché il ragazzo è stato controllato entro le tre ore» .
LA DIAGNOSI RASSICURANTE – Nonostante le insistenze del padre che chiedeva una TAC, la dottoressa ha scartato l’ipotesi, ritenendo le condizioni del ragazzo non gravi. Tuttavia, la febbre persistente costringeva la famiglia a tornare al pronto soccorso più volte, sempre con la “stessa diagnosi rassicurante.” «Ci presentiamo per la terza volta al pronto soccorso questa volta intorno alle 17.30 chiedendo che venisse controllato immediatamente». Prosegue Stefano – I medici ci dicono di aspettare in quanto c’erano persone in condizioni ben più gravi rispetto a quelle in cui versava mio figlio».
NUOVE ORE DI ATTESA – Si arriva così alle 2.30 e il padre disperato chiede analisi e controlli più approfonditi per il figlio: «Ribadisco che se c’è una febbre persistente senza altri sintomi evidentemente il corpo sta lanciando segnali ben precisi». “L’insistenza” del protagonista della vicenda, finalmente, è presa in considerazione: «Dal Pronto Soccorso mi rilasciano un foglio per far effettuare ulteriori controlli a mio figlio il giorno dopo. La mattina ci presentiamo al decimo piano dell’ospedale trovando una dottoressa molto gentile e un medico che conoscevo già in precedenza per dei controlli intramoenia».
A questo punto della vicenda, il medico conosciuto chiede a Stefano che succede; una volta raccontata l’odissea vissuta e mostrati tutti i referti del pronto soccorso, opta per una TAC urgente dalla quale emerge la vera natura del problema: una grave infiammazione all’intestino, con coinvolgimento anche di fegato e milza.
«È inaccettabile che mio figlio sia stato sottoposto a così tante sofferenze a causa di una serie di errori – continua il padre -. Al Pronto Soccorso è sembrato che non ci fosse la volontà di approfondire le cause dei sintomi, soprattutto quando si tratta di giovani pazienti. Mi chiedo come sia possibile che dei professionisti della salute non si siano accorti di una situazione così grave» dice Stefano che ha deciso di rendere pubblica la sua esperienza nella speranza che possa servire da monito e spingere le istituzioni competenti ad intervenire per garantire un’assistenza sanitaria più efficiente e sicura per tutti non solo a parole.