“L’ora più bella”: il sogno di Caterina Sanna è diventato realtà

Sonia

“L’ora più bella”: il sogno di Caterina Sanna è diventato realtà

martedì 24 Maggio 2016 - 06:25
“L’ora più bella”: il sogno di Caterina Sanna è diventato realtà

Un ritratto di Caterina Sanna

Si articola tra Nuoro, Orune e Capoterra la storia data alle stampe dalla giovanissima scrittrice orunese

Vola alto Caterina, vola con la sua spensierata gioventù, con il desiderio di emergere e far magnificare i suoi sogni.

Caterina Sanna si tratteggia di magia e di semplicità con i suoi 24 anni d’amore per la sua terra, per la sua gente. Lei è come i colori della Sardegna, quelli che appena sopraggiungi sull’isola ti trafiggono gli occhi tanto da far fatica a dimenticarli. Come un’immagine indelebile che si staglia fortemente nell’animo e nel cuore. Caterina nasce e vive ad Orune, un piccolo paese difeso dal baluardo naturale di querce secolari e rocce granitiche.

«Da Sa Preda Iscritta vedo il mare chiarissimo di Dorgali che pian piano si confonde col blu ceruleo delle vette del Gennargentu». Sardegna è magia come già detto ed è fonte d’ispirazione per le tematiche letterarie di Caterina.

«Nascono su questi monti i miei racconti. Il primo A Gonario vinse nel 2011 il Certamen Deleddiano Nazionale».

Babbo e mamma la supportano insieme alle due sorelle e al fratello in ogni scelta e decisione, come quella di studiare Lettere a Viterbo e così, dopo tanto inseguire il desiderio di dare voce con l’inchiostro ai fogli bianchi, al suo libro, è arrivata L’ora più bella».

«L’idea di raccogliere i racconti fece capolino nella stagione del diploma, anno in cui vinsi il Premio Nazionale. La premiazione mi ha incoraggiato e spinto a perfezionarmi nella scrittura. Da quell’anno ad oggi noto come sia progredito il mio stile. Tramite terze persone ho conosciuto l’editore che ha pubblicato la mia opera, che per una serie di vicissitudini è venuto alle luce solo adesso. Ogni volta che rileggo i miei racconti penso di avere una buona fantasia, lo dico senza presunzione».

Il libro si articola in quattro racconti brevi: «Premetto che è tutto frutto della mia fantasia, personaggi e fatti. Il primo racconta – riferisce Caterina – di una vicenda avvenuta tra Nuoro, Orune e Capoterra. La protagonista è Bibiana figlia di un noto proprietario terriero che scappa dalla vita borghese per fuggire alle angherie della vita che l’avrebbe aspettata. Si allontana sul suo cavallo e con il suo cane fedele Lena. Arriva alle pendici di Nunnale, continua la strada fino a Orune e lì è ospitata in una locanda da due donne. La scelta delle figure femminili, una anzianissima e una poco più che adolescente non è un caso. È accolta come membro della famiglia che la nasconde. Il padre fa battere di continuo il circondario dai suoi uomini ma Bibiana non si trova. La giovane incontrerà un uomo, dai trascorsi terribili, del quale si innamorerà, ma che per fuggire alla giustizia dovrà scappare a Capoterra e lì metterà in salvo Bibiana, che trascorrerà anni lontana dal padre. Poi per fortuna il sentimento prevarrà su tutto».

Caterina è un fiume in piena e nel suo narrare sembra quasi lasciarsi assorbire dalle vicende illustrate. Il secondo e il terzo racconto parlano di due amori vissuti a senso unico, non ricambiati e portati avanti solo nella fantasia delle protagoniste.

La scelta del volto in copertina non è casuale, posso dire violando la fantasia del lettore che le protagoniste sono tutte incarnate in quello sguardo puro e sognante.

E la chiusura è con il racconto con cui ha vinto il Premio nel 2011.

A Gonario potrei tranquillamente dire che è una sorta di lettera a Grazia Deledda, con la speranza che potesse compiacersi per il riassunto romanzato della sua vita. L’accostamento alla figura di Grazia Deledda ha dato lo spunto a Caterina per parlare dove è nata la passione per la scrittura.

«Leggendo Cenere, in quarta elementare, mi appassionai particolarmente a Grazia Deledda, alla sua perspicacia e coraggio, al suo modo di raccontare la gente, gli anfratti nascosti delle vite altrui. Volevo diventare come lei, era questo il mio desiderio. Ho iniziato così a nutrire un affetto concreto per Lei, come se fosse una nonna. A volte penso di essere matta, ma tante volte avrei voluto essere Cosima per concludere la sua biografia. Elias Portolu è stato il trampolino di lancio per i miei primi racconti, che purtroppo sono andati persi».

Ora che Caterina Sanna ha raggiunto il primo traguardo della sua esistenza, altri obiettivi si prefiggono nei suoi orizzonti. Come quello dell’insegnamento: «Nella mia vita futura mi vedo docente, raccontare tra i banchi di scuola. Vedo una casetta in campagna con bel giardino in cui poter prendere il sole e scrivere ancora della mia terra selvaggia e amica. Mi vedo mamma che trasmette i suoi figli l’amore per la sua terra, il rispetto per il forestiero».

Le ultime parole di quest’incontro, sono proprio per la sua terra.

«Qui spesso mi chiedono da quale parte della Sardegna provenga, e poco prima di rispondere devo ammetter che mi gonfio d’orgoglio e poi rispondo. Ma per chi non è pratico della zona, mi piace fare una descrizione più accurata: “Immagina la Sardegna come un busto, il mio paese si trova proprio dove batterebbe il cuore”. La Sardegna è mare, sole e costa. Ma quella che più mi appartiene è roccia, è ballo tondo. È canto, è musica che ti penetra e ti trascina in danze arcane. La Sardegna è gregge che si cala in pianura quando i mesi si fanno gelidi e sale sui monti quando si fa torrido il clima, guidato dal saggio pastore. Il Pastore è il Re di quei luoghi, il pastore conosce il rumore del vento, il movimento lento degli astri, lo scorrere delle acque. Il pastore conosce il bene e il male. Il pastore è re saggio. La Sardegna è profumo di pane carasau la mattina e di ginestra in primavera. È l’antica residenza dei primi uomini, forti e liberi, di donne fiere e maestre di vita. La Sardegna è tanto altro che solo vivendola si può scoprire».

Vola alto Caterina. Noi seguiremo il tuo percorso.

Massimiliano Perlato

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