MAMOIADA – “E se vuoi un carnevale che non ce n’è un altro su tutta la terra, vattene a Mamoiada che lo inaugura il giorno di Sant’Antonio: vedrai l’armento con maschere di legno, l’armento muto e prigioniero, i vecchi vinti, i giovani vincitori: un carnevale triste, un carnevale delle ceneri: storia nostra d’ogni giorno, gioia condita con un po’ di fiele e aceto, miele amaro”, scriveva nel 1954 Salvatore Cambosu in Miele Amaro a proposito delle maschere di Mamoiada.

Mamoiada, maschere di Mamuthones (foto S.Novellu)
E la riprova di queste parole l’abbiamo vista nel pomeriggio di ieri, 17 gennaio, Sant’Anoni ‘e su O’u (Sant’Antonio Abate), quando nonostante sul paese imperversasse un nubifragio, Mamuthones e Issohadores dei due gruppi, l’Associazione Culturale Atzeni-Beccoi e la Pro-Loco, hanno rinnovato l’antico rito propiziatorio: indossate le vesti tipiche del più antico carnevale dell’Isola hanno sfilato per le vie del paese, seppure sia stato necessario ridurre il tradizionale percorso (che in genere gira tutto il centro storico, disseminato di grandi fuochi), a causa della pioggia battente, fino al grande fuoco acceso di fianco alla chiesa di Nostra Signora di Loreto, per la gioia dei paesani, degli indomiti turisti e dei numerosi fotografi, accorsi come sempre numerosi per assistere a uno spettacolo unico nel suo genere. Mamuthones e Issohadores, infatti, oltre a essere l’icona di Mamoiada sono diventate ormai figure identitarie per tutta la Sardegna nonché ambasciatrici dell’intera Sardegna nel mondo.

Mamoiada, vestizione di un giovane Mamuthone (foto S.Novellu)
Prima della cosiddetta “Prima Uscita” si è rinnovato anche il rituale della vestizione. Un momento piuttosto emozionante sia per Mamuthones e gli Issohadores di maggiore esperienza, in quali sentono il dovere di dare il meglio nella propria esibizione, migliorando per quanto possibile quanto maturato negli anni, e ancora di più per i giovani e inesperti, molti dei quali partecipano al rito sin dalla più tenera età, i quali da una parte avvertono l’orgoglio di voler indossare maschera, mastruca e campanacci, dall’altra anche l’impegno di dover fare bella figura agli occhi dei più grandi, innanzitutto, e poi del paese.

Mamoiada, vestizione di un giovane Mamuthone (foto S.Novellu)
Dopo avervi assistito, molti si chiedono quale sia il vero significato del Carnevale mamoiadino, e le interpretazioni in cui si sono cimentati storici e antropologi sono molteplici per quanto, tra queste, due sono quelle più avvincenti: quelle di Raffaello Marchi e di Manlio Brigaglia.

Mamoiada, Mamuthones (foto S.Novellu)
“La processione è la cerimonia commemorativa di un avvenimento storico locale, è un rito austero… Si può immaginare che i prigionieri siano stati spogliati e rivestiti della mastruca Sarda, con l’aggiunta del turbante legato intorno al capo della maschera nera con il mento appuntito dalla barbetta, e anche dei campanacci per indicare che gli assoggettatori erano finalmente assoggettati e perfino “imbovati”; e i Sardi, poi, abbigliati con i panni dei vinti (cioè con la “veste di turco” o di Moro) in segno di orgoglio e di ammonimento, e conservando la soca come emblema guerresco, continuarono a celebrare la loro vittoria per moltissimi anni, fino a perderne il ricordo nell’oblio dei secoli…” Questa la visione dello scrittore e antropologo nuorese Raffaello Marchi, riportata nel 1951 nel suo Le maschere barbaricine.

Mamoiada, vestizione di un Mamuthone (foto S.Novellu)
“Secondo le credenze di tutti i popoli primitivi, nei giorni di inizio di ogni ciclo annuale tutti gli esseri del mondo infero fanno la loro ricomparsa sulla terra. E proprio a riti legati alla rappresentazione di questo avvenimento bisogna ricollegare questa strana e particolare uscita dei Mamuthones, che pure l’avanzare di questo cupo ossessionante corteo di uomini imbestiati ci suggerisce l’idea di una cerimonia che è nata e rimane nel suo carattere profondamente sarda. Per quella tristezza che la avvolge, per il modo in cui lo spettatore si sente fratello e Mamuthone, curvo sotto il peso della loro stessa catena, vinto insieme con loro dalla baldanzosa presenza degli Issohadores, li vede come il segno di un destino dell’Isola che è durato per secoli, un destino di servitù e rassegnazione”. È questa l’interpretazione dello storico Manlio Brigaglia, recitata dalla voce di Riccardo Cucciolla nel documentario I Mamuthones girato da Fiorenzo Serra tra il 1957 e il 1960, un filmato di eccezionale importanza, in quanto costituisce la prima documentazione filmica del carnevale mamoiadino (come pure lo sarà per quello di Ottana).

Mamoiada, Issohadores (foto S.Novellu)
Un’interessante spunto di riflessione ci viene poi da una delle prime attestazioni fotografiche, almeno come corpus unitario, costituita dal ricco e notissimo reportage realizzato sempre nel 1957 da Pablo Volta. Come si può evincere sia dalle immagini di Serra sia da quelle di Volta, un tempo il carnevale era un rito spontaneo che si svolgeva in paese, e per il paese. E come a Mamoiada in tutti gli altri centri dell’Isola. Fu lo stesso fotografo a rilevare questo aspetto nei decenni seguenti, in anni in cui il turismo iniziava a condizionare molte manifestazioni spontanee della civiltà millenaria sarda (e non solo): “Quando nei primi anni Ottanta – mi raccontò una ventina di anni fa nel corso di un’intervista -, in occasione della mostra allestita alla Pro Loco del paese, durante la quale furono esposte le fotografie del 1957 qualcuno, nell’indicare in uno degli scatti il sorriso di una ragazza che ballava, mi fece notare che durante quel carnevale erano presenti solo due forestieri, quella ragazza e Io”.

Mamoiada, prima uscita dei Mamuthones (foto S.Novellu)
Prima di calarsi la maschera sul volto per l’uscita, dopo un rapido sguardo al cielo, uno dei Mamuthones ha commentato: “Il rito propiziatorio è riuscito, siamo riusciti a portare l’acqua, sarà una buona stagione agraria”.

Mamoiada, un’Issohadore (foto S.Novellu)
Terminata l’esibizione, infine, nonostante la pioggia insistente non accennasse a attenuarsi, tutti i partecipanti, compresi Mamuthones e Issohadores hanno gradito un bicchiere di vino e un dolce tipico per un attimo di ristoro davanti al fuoco che faticava a restare acceso. La tradizione continua.