CPR Macomer: dopo l’ultimo tentato suicidio, l’Asce ne chiede la chiusura

Sonia

CPR Macomer: dopo l’ultimo tentato suicidio, l’Asce ne chiede la chiusura

martedì 05 Maggio 2020 - 19:19
CPR Macomer: dopo l’ultimo tentato suicidio, l’Asce ne chiede la chiusura

Il CPR di Macomer (foto P. G. Vacca)

Ufficialmente sono due i tentati suicidi riportati dalle cronache che sono avvenuti all’interno del CPR d Macomer a distanza di poco tempo. Il primo registrato ai primi di marzo e l’altro avvenuto 4 giorni fa: un 28enne proveniente dal Benin.

L’associazione Asce che si occupa di migranti chiede la chiusura della struttura.

«Mentre l’attenzione dei media ed il dibattito sociale e politico si concentravano sulla pandemia del Covid-19, spariva dal discorso pubblico il CPR di Macomer, quello che pudicamente lo Stato chiama Centro di Permanenza per il Rimpatrio, ma che di fatto è un centro di detenzione amministrativa, sulla base del mancato possesso di un permesso di soggiorno che lo Stato stesso sceglie di non concedere. Uno spazio completamente fuori dal diritto, un buco nero dove spariscono persone, democrazia e diritti umani, nel cuore della Sardegna». Scrivono e aggiungono: «l’ultimo senza diritti ad avere compiuto un gesto del genere è I., 28 anni, proveniente dal Benin, una vita difficile, di duro lavoro, funestata dalla povertà e da tragedie familiari in Benin, dalla guerra in Libia, dal razzismo di Stato in Italia. Ha rischiato di morire giovedì scorso, dopo essere caduto dal muro di cinta del CPR di Macomer, su cui si era arrampicato come gesto eclatante di protesta dopo la terza conferma in udienza del suo trattenimento nel centro».

All’udienza, la famiglia di volontari che lo ha sostenuto in questi anni, tramite avvocato aveva presentato un contratto di locazione di uso gratuito per l’alloggio, una proposta di assunzione come operaio generico e una petizione di cittadini che conoscono il 28enne a  testimonianza della sua buona condotta negli anni e la realistica opportunità di riscatto e riabilitazione. Il 28enne però non può fare una vita normale aa causa del permesso di soggiorno  ed è costretto a stare dentro la struttura e non può essere ugualmente  rimpatriato in Benin a causa di accordi bilaterali con l’Italia e per l’ emergenza COVID. 

Fra trenta giorni I. avrà passato 117 giorni di carcere duro senza aver commesso nessun reato.

«Questo giovane nella sfortuna, ha la fortuna di avere dalla sua parte una comunità solidale, grazie a loro siamo venuti a conoscenza della sua storia. Ma di quanti altri, nella stessa condizione, non abbiamo saputo niente? Ognuno dei migranti internati ha una sua storia, dignità e diritti inalienabili in quanto essere umano. Non c’è nessuna giustificazione per la loro carcerazione», scrive l’Asce e conclude: «la presenza dei CPR è una vergogna e una minaccia per l’ordinamento democratico dello Stato italiano, finché esisteranno spazi del genere, dove la regola è l’arbitrio del più forte, il silenzio delle vittime, il lucro di privati sulla violenza di Stato, nessuno potrà realmente considerarsi al sicuro».

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