Lutto nel cinema italiano: a 86 anni è morto il regista Ermanno Olmi

Sonia

Lutto nel cinema italiano: a 86 anni è morto il regista Ermanno Olmi

lunedì 07 Maggio 2018 - 11:27
Lutto nel cinema italiano: a 86 anni è morto il regista Ermanno Olmi

Ermanno Olmi

Dai corti ai lunghi. Dai documentari ai lungometraggi, questo è Ermanno Olmi. Un’altalena costruita su un albero degli zoccoli che invita gli spettatori a guardare oltre la siepe del loro giardino, a sbirciare il lavoro del contadino che guarda il grano maturare o dell’operaio nella fabbrica che compie azioni meccaniche con sforzo e sacrificio, ma pur sempre cantando la pace sia quella della natura, sia quella dell’uomo dietro i paraventi.

È morto ad Asiago il regista Ermanno Olmi. aveva 86 anni, era nato il 24 luglio 1931 a Bergamo. Regista autodidatta, pioniere nel campo del documentario, creatore di un linguaggio personale e fuori da ogni schema fin da opere come ”Il tempo si e’ fermato”, ”I recuperanti” e la ”Circostanza”, sperimentatore incessante ha portato per la prima volta al cinema il dialetto come lingua (”L’albero degli zoccoli”) e i grandi miti della tradizione cristiana (”Cammina cammina”).

Il regista bergamasco di nascita ma altopianese di adozione è deceduto la scorsa notte all’ospedale di Asiago. Il suo ricovero è avvenuto tre giorni fa in seguito all’aggravarsi della malattia che l’aveva minato tempo fa. Gli sono stati vicino fino all’ultimo i figli Andrea e Fabio e la moglie Loredana.

Origini e formazione : nato da una famiglia contadina e profondamente cattolica nella provincia di Bergamo, Olmi rimane orfano di padre durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo aver frequentato il liceo scientifico e poi quello artistico (senza portare a termine gli studi), si trasferisce giovanissimo a Milano per iscriversi all’Accademia d’Arte Drammatica, seguendo però i corsi di recitazione. Ma per guadagnarsi di che vivere si impiega presso la EdisonVolta (dove già lavora la madre) dove organizza il servizio cinematografico dirigendo, fra il ’53 e il ’61, una trentina di documentari, fra i quali “La diga sul ghiacciaio” (1953), “Tre fili fino a Milano” (1958) e “Un metro è lungo cinque” (1961). In questi anni di lavoro, oltre a notarsi l’intraprendenza e il talento con la macchina da presa, Olmi segna la prima traccia della sua filmografia, vale a dire l’attenzione per l’uomo all’interno di strutture create dall’uomo stesso.

Debutto. Sposato con l’attrice Loredana Detto, dalla quale ha avuto il figlio Fabio Olmi, anche lui oggi attivo nel mondo della settima arte come direttore di fotografia (ha lavorato con il padre in alcuni suoi film), debutta sul grande schermo con il lungometraggio “Il tempo si è fermat”o (1959), dove narra l’amicizia fra il guardiano di una diga e uno studente. Fortemente influenzato dalle sue origini povere e rurali, il regista offre una visione di privilegio per gli umili, vale a dire per quelle persone semplici, che vivono in costante rapporto con la natura e, spesso, sono vittime della solitudine dell’uomo.  Conquisterà però i favori della critica con Il posto, opera su due giovani alle prese con il loro primo impiego, prodotto dalla casa di produzione 22 dicembre, fondata dallo stesso Olmi con un gruppo di amici.

L’attenzione per il quotidiano. L’amore per le cose della vita di tutti i giorni viene ribadita anche in I “fidanzati” (1963), pellicola legata al mondo operaio, seguita anche dal più intimista “E venne un uomo” (1965) con Rod Steiger, biografia di Papa Giovanni XXIII. Dopo un periodo contrassegnato da lavori non del tutto riusciti, Olmi firma il suo capolavoro: “L’albero degli zoccoli” (1977), ambientato in una cascina vicino a Bergamo, alla fine del secolo scorso, abitata da cinque famiglie contadine. Un grande successo in Italia e in tutto il mondo, tanto da guadagnarsi la Palma d’Oro e il Premio Ecumenico della Giuria al Festival di Cannes, il César per il miglior film straniero, i Nastri d’Argento per la miglior fotografia, regia, sceneggiatura e soggetto originale. Nel 1982 torna sul grande schermo con “Cammina cammina”, dove recupera il segno dell’allegorica storia dei Magi… poi una grave malattia, che lo terrà a lungo lontano dagli schermi ed esule ad Asiago.

I premi e la scrittura.  Fondatore della scuola di cinema Ipotesi Cinema a Bassano del Grappa, torna a girare documentari per la Rai e qualche spot televisivo, e si lascia andare al cortometraggio con “Milano” (1983) per il quale gli viene assegnato il Nastro d’Argento come regista del miglior corto. Anche se il ritorno vero e proprio è solo per il claustrofobico “Lunga vita alla signora” (1987), storia di una vecchia e potente dama che riunisce a cena nel suo castello i notabili del luogo con l’unico scopo di riverirla, che gli farà vincere il premio Fipresci e il Leone d’Argento a Venezia. Quello d’Oro lo stingerà grazie a “La leggenda del santo bevitore”, tratto dall’omonimo racconto di Joseph Roth, con Rutger Hauer nella parte di un barbone alcolizzato aiutato dalla Grazia.

Con il documentario “Lungo il fiume” (1992), ritrova anche la passione per la scrittura firmando “La valle di pietra” (1992), che Maurizio Zaccaro porterà sul grande schermo, mentre lui trarrà dal racconto di Dino Buzzati “Il taglio del bosco” la favola Il segreto del bosco vecchio (1993) con Paolo Villaggio. A metà degli anni Novanta dirigerà l’episodio della Genesi del vasto progetto internazionale Le storie della Bibbia, poi avrà un notevolissimo successo con Il mestiere delle armi (2001), biografia di Giovanni delle Bande Nere che gli permetterà di aggiudicarsi ben quattro David di Donatello (miglior regia, film, produzione e sceneggiatura). Il pacifista Cantando dietro i paraventi (2003) conquista il Nastro d’Argento per il miglior soggetto, mentre nel 2005, con il corale Tickets (realizzato con Kiarostami e Loach) si allunga definitivamente la sua visuale anche al resto del mondo e non più semplicemente allo squarcio italiano.

Ultimi capo-lavori. Dopo lo spirituale “Centochiodi” del 2007, con l’ex modello Raz Degan nella parte di un intellettuale che perde la fede, dichiara che non girerà più film di finzione, ma tornerà al suo antico e primario amore, il documentario. Così che l’anno successivo, forse per fargli cambiare idea, Venezia gli tributa il Leone d’Oro alla Carriera, consegnatogli direttamente dalle mani di Adriano Celentano. Ma nel 2011, dopo un documentario (“Rupi del Vino”, 2009), un cortometraggio (“Il premio”, 2009), e un altro documentario (“Terra Madre”, 2010) torna sul grande schermo più trionfante che mai con “Il villaggio di cartone”, presentato alla Mostra del cinema di Venezia. Del 2014 è invece torneranno i prati, ambientato durante la prima guerra mondiale, mentre nel 2017 esce al cinema il documentario “Vedete, sono uno di voi”, dedicato a Carlo Maria Martini, Arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002.

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