Nuoro. Il virus visto da vicino: al San Francesco in prima linea contro il Covid poi il contagio – La testimonianza

Salvatore

Nuoro. Il virus visto da vicino: al San Francesco in prima linea contro il Covid poi il contagio – La testimonianza

martedì 17 Novembre 2020 - 02:30
Nuoro. Il virus visto da vicino: al San Francesco in prima linea contro il Covid poi il contagio – La testimonianza

Nuoro, reparto covid del San Francesco (foto S.Novellu)

 

«Faccio questo lavoro da quasi vent’anni anni. Prima che il Covid arrivasse anche in Italia, le immagini mostrate dai tg sui contagi in Cina facevano impressione ma tutto sembrava ancora così lontano. Arriva il primo caso a Codogno e noi veniamo formati rapidamente per affrontare la remota possibilità che la malattia arrivi anche qui da noi, in Sardegna. Al San Francesco vengono allestite due camere, in caso arrivi anche a Nuoro, due camere!».

Inizia così il racconto di questa pandemia, fatto da parte di chi l’ha vissuta in prima persona, prima da una parte della barricata, quella di chi assiste e cura i malati, e poi dall’altra, quella di coloro che si sono ammalati di Covid, e ne hanno provato sulla pelle gli effetti. Abbiamo voluto fare questa intervista e proporvi questo racconto, intenso e drammatico allo stesso tempo, nella speranza che tutti riusciamo a farne tesoro e a tutelarci.

MARZO 2020 – «Tira una brutta aria: a Sassari hanno già qualche positivo. È un pomeriggio dei primi di marzo, sono operativo e in tarda serata arriva un paziente fortemente sospetto: i sintomi sono quelli del Covid. La paura ci assale, ma prevale il buon senso: sia io che un’altro collega scegliamo di rimanere al lavoro per supportare il turno successivo, quello notturno. Troppe ore di fila trascorse per la prima volta dentro il nostro “involucro-armatura”, una sensazione che nelle settimane successive imparerò a conoscere molto bene – in parte puoi capirmi, mi hai raccontato di averla provata quando sei entrato in reparto per il tuo lavoro (APPROFONDISCI). Finalmente, arriva la fine di quel turno interminabile. Ho urgenza di bere e andare in bagno, non sento più ne il sonno ne la stanchezza, è tutto così strano. Non ricordo neppure se il pomeriggio precedente ho mangiato qualcosa, forse un caffè, non so, è passato troppo tempo. Intanto sono arrivati i colleghi che ci sostituiranno. Mi tremano le gambe, è un calo degli zuccheri, ma devo ancora sbardarmi, uscire da questa tuta scafandro che mi ha protetto stanotte e potrò finalmente respirare aria pulita, non la stessa aria che inspiro ed espiro da ore sotto la mascherina. Sudato e infreddolito scappo in zona svestizione, poiché all’epoca, per raggiungerla era necessario uscire all’esterno del reparto, fuori dall’ospedale (più tardi avremo perfezionato anche questo, con una stanza dotata di tutto il necessario, soprattutto cartoni di con bottigliette d’acqua e lenzuola pulite per poterci asciugare e coprire un po’ prima di rivestirci). Finalmente una doccia purificatrice, che credo ricorderò per tutta la mia vita. Pulisco lo specchio appannato, guardo il mio viso e non riesco a credere ai miei occhi, i miei lineamenti sono stravolti, non mi riconosco. Ecco cos’era il bruciore che sentivo al naso per tutta la notte, è come un’ustione e, penso: “siamo solo all’inizio”».

LA TREGUA – «Trascorre il lockdown e la bufera dei primi mesi lentamente sembra affievolirsi.  Ai primi di giugno non abbiamo più positivi e possiamo godere di qualche settimana di tregua. Arrivano luglio e agosto, la Sardegna è zeppa di turisti, i locali pieni e aprono anche le discoteche. Mentre tutti abbassano la guardia noi iniziamo a essere molto preoccupati di quanto può accadere di li a poco, e che poi accadrà».

Nuoro, reparto Covid (foto S.Novellu)

Nuoro, reparto Covid (foto S.Novellu)

SETTEMBRE 2020 – «L’8 settembre arriva il primo nuovo positivo. È il panico: tutti gli altri ammalati vengono portati via d’urgenza e di li a poco il reparto Covid si riempirà di nuovi casi. Iniziano a circolare voci di un trasferimento al 10° piano, più grande, ma purtroppo con camere prive di anticamera così come i bagni. Facciamo presente che in questo modo i rischi per noi aumenteranno, ma non possiamo fare nulla di più e il reparto viene trasferimento comunque».

«I giorni si susseguono frenetici, i pazienti sono tanti e in tanti suonano il campanello per le necessità più disparate, Quella richiesta di aria torna a diventare routine, atroce, soprattutto quando proviene da coloro che indossano il casco, dentro il quale si sentono soffocare e ti chiedono aiuto, con gli occhi sbarrati, a volte ti implorano solo con gli occhi e tu ti senti impotente. Il bip dei monitor e dei saturimetri si fa assordante. Tu continui a fare attenzione che non si spostino le mascherine dell’ossigeno e che i valori non scendano mai sotto i 90, altrimenti desaturano e rischiano di necessitare del casco se non, addirittura, di finire intubati. Protetto dai doppi guanti stringi la mano a qualche paziente smarrito, per tentare di consolarlo, ma ti senti morire per non potergli fare nemmeno una carezza sul viso sigillato dentro la bolla; devi urlare perché ti senta – poiché il rumore all’interno del casco è assordante e insopportabile, per quanto alleggerito dai tappi di cotone; lui non può leggerti neppure il labiale poiché sei dentro la tua armatura, può solo intuire un accenno di sorriso, un sorriso smorzato dalla voglia di piangere, ma non puoi piangere, devi ricacciare dentro le lacrime, perché ti si appannerebbe la visiera e avresti difficoltà a proseguire nel lavoro. All’inizio non lo sapevi, nessuno di noi lo sapeva, e abbiamo pianto, abbiamo pianto tanto, davanti a tanta sofferenza, davanti a tanti occhi sbarrati che imploravano aiuto, ma abbiamo imparato anche a ricacciare indietro le lacrime e continuare a correre da una stanza all’altra, in un’apnea infinita.
Quelle lacrime però affioreranno comunque, magari a casa, quando meno te lo aspetti, mentre cerchi dare una parvenza di normalità alla tua vita fuori dal decimo piano, fuori dal pianeta Covid, che ormai si è impadronito della tua vita dentro e fuori dall’ospedale. In un attimo affiorano, e allora non le trattieni più e le lasci scorrere sul viso, senza ritegno, senza vergogna». Ma questa è un’altra storia, una storia di ordinaria quotidianità. 

Nuoro, reparto Covid del San Francesco (foto S.Novellu)

IL CONTAGIO –  «Ai primi di ottobre faccio il mio tampone di routine, è negativo. Il giorno dopo mi sveglio con un forte mal di gola ma penso: “ho preso un colpo d’aria”. Lavoro regolarmente per alcuni giorni, nel frattempo apprendo di due colleghi positivi. Rifaccio il tampone: come temevo risulto positivo anche io! Mi crolla il mondo addosso ma mi faccio forza, non mi arrendo.
Conosco la procedura e i rimedi, e decido di gestire tutto in casa, anche sapendo di rischiare parecchio. Arrivano tutti i sintomi tranne la febbre, o almeno credo, perché pur sentendomi bollire il termometro non la rilevava. Nella mia stanza di isolamento trascorro tante ore nell’unica posizione che mi consente di gestire il fiato corto, quella prona, la stessa utilizzata in rianimazione come ultima possibilità di reclutare tutti gli alveoli polmonari che non sono stati compromessi dal Covid. Per due giorni desaturo, ho bisogno di ossigeno, ma in quella posizione per fortuna la saturazione risale. Così trascorrono i giorni, tra sofferenze inenarrabili».

LA RINASCITA -«È trascorso quasi un mese, adesso sto meglio, finalmente. Mi resta una grande debolezza, le gambe tremanti, un’insonnia pressoché totale e un dolore alle spalle e in varie parti del corpo, ma ho voglia e bisogno di ritornare alla mia caotica quotidianità fatta di giornate di corsa. La sensazione della morte è stata tremenda, almeno quanto è bella quella della rinascita.
Forse il peggio è passato, però ho la consapevolezza che se sul piano fisico pian piano mi riprenderò su quello psicologico dovrò lavorarci parecchio. Ma non gliela do la soddisfazione a questo virus di togliermi l’entusiasmo. Proprio no. 

UN PROBLEMA NEL PROBLEMA: Tutto questo orrore lascerà delle cicatrici indelebili in tutti noi, credo che scaturiranno problemi psicologici e sociali, nessuno ne è immune, ogni famiglia colpita da un lutto che non ha potuto neppure degnare della propria pietà, ogni operatore che vive questo dramma giorno dopo giorno e turno dopo turno, ogni bambino a cui viene negata la possibilità di avere una vita scolastica ed extrascolastica normale».

STATE ATTENTI, IL COVID NON È UNO SCHERZO – «Ora penso ai colleghi che, intanto, sono allo stremo. Altri nel frattempo sono stati contagiati. Fuori del Pronto soccorso, da settimane le ambulanze sostano giorno e notte per poter consegnare i malati assetati di aria all’ospedale. Giorni e giorni di attesa, ma ormai non non c’è più posto. E siamo solo all’inizio di questa seconda ondata. Non so come si farà nei prossimi mesi. Tutto questo è disumano, ed è disumano che la politica, perché ormai di politica si tratta, non muova un dito. Serve nuovo personale, cosa stanno aspettando?».

«Chiedo a tutti di stare attenti e di non scherzare col virus, il Covid non è uno scherzo!».

«Ti ringrazio per aver raccolto la mia testimonianza e per questa chiacchierata, che è stata come una sorta di seduta dallo psicologo». 

Salvatore Novellu – © Tutti i diritti riservati

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