I Giganti di Mont'e Prama: un mistero svelato solo in parte

Sonia

I Giganti di Mont'e Prama: un mistero svelato solo in parte

mercoledì 12 Novembre 2014 - 07:59
I Giganti di Mont'e Prama: un mistero svelato solo in parte

Ipotesi di ricostruzione della necropoli di Mont'e Prama (© foto S.Novellu)

Tina Santoni, presidente ArcheoArci Nuoro, illustra il corso 2014 (© foto S.Novellu)

Tina Santoni, presidente ArcheoArci Nuoro, illustra il corso 2014 (© foto S.Novellu)

Dalle ultime campagne di scavo nuova luce sulla storia

Al via le lezioni dell’associazione ArcheoArci Nuoro a dimostrazione che la nostra storia continua ad affascinare tutte le generazioni.

I docenti Emerenziana Usai e Carlo Tronchetti (© foto S.Novellu)

Gli archeologi Emerenziana Usai e Carlo Tronchetti (© foto S.Novellu)

Cabras 1974: a pochi chilometri dalle spiagge di Is Arutas e Mari Ermi, in località Mont’e Prama, come tutte le mattine, un contadino sta lavorando il campo. Il suo aratro mentre solca il terreno si imbatte in alcuni frammenti di pietra calcarea: questa è la prima traccia emersa dei giganti prodotti da una civiltà che non ha eguali in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo e che proiettano nuova luce sull’arte e la cultura della Sardegna.

Nuoro, novembre 2014: in un Auditorium gremito della biblioteca  Satta si tengono le prime due Lezioni di Archeologia del corso 2014 organizzato dall’associazione culturale ArcheoArci. Anche queste, come i Giganti di Mont’e Prama, rappresentano un miracolo poiché, come spiega la presidente Tina Santoni, per quanto sia venuto a mancare il sostegno del Banco di Sardegna, i soci pur di non gettare nel fango burocratico anni di sacrifici e lavoro per garantire le lezioni a una città già troppo minata dalla crisi, si sono auto-quotati permettendo in questo modo di garantire ancora affascinanti appuntamenti con la storia.

Gli archeologi Raimondo Zucca e Alessandro Usai (©foto S.Novellu)

Gli archeologi Raimondo Zucca e Alessandro Usai (© foto S.Novellu)

L’esordio, dunque, non poteva che essere con i Giganti di pietra, nella formula composta da due lezioni teoriche tenute rispettivamente dagli archeologi delle soprintendenze cagliaritana e sassarese Carlo Tronchetti e Emerenziana Usai (protagonisti della prima campagna di scavi) per concludere con Alessandro Usai e Raimondo Zucca, (protagonisti dell’ultima recente indagine archeologica); ultimo appuntamento con i Giganti, domenica, a Cabras, con una visita guidata al sito di Mont’e Prama e al museo.

Dopo la scoperta causale fatte dall’agricoltore e il primo recupero delle statue, dunque, la Sovrintendenza inizialmente ipotizza di trovarsi davanti ad un tempio punico; più procede l’indagine, però, più questa ipotesi viene sfatata. Le prime indagini risalgono a un periodo che va dal 1975 al 1979, a opera degli archeologi Alessandro Bedini, Carlo Tronchetti e Maria Ferrarese Cerutti.

Nel capodanno del 1977, poi, Giovanni Lilliu  fece un sopralluogo e intuendone l’importanza sensibilizzò l’opinione pubblica per il proseguo degli scavi. Il punto principale su cui gli archeologi hanno posto subito l’accento è che i giganti di pietra fanno parte di un’area funeraria nuragica ben più importante.

Complessivamente, a oggi, sono state rinvenute una cinquantina di tombe a pozzetto, disposte in un lungo filare, per lo più prive di ornamento funerario tranne la famosa “tomba 25” dove venne rinvenuto un monile a forma di scarabeo e un braccialetto. Davanti alle tombe passava una strada mentre alle loro spalle, l’area era delimitata da una fila di lastre fittili infisse nel terreno, così come all’inizio e al termine dell’area (qui le pietre erano più grandi e di traverso), dove si ergevano anche due betili per parte. Alle spalle dei Giganti erano poi disposte diverse sculture riproducenti nuraghi polilobati.

Ipotesi di ricostruzione della necropoli di Mont'e Prama (© foto S.Novellu)

Ipotesi di ricostruzione della necropoli di Mont’e Prama (© foto S.Novellu)

Si suppone che i defunti fossero inumati dentro le buche inginocchiati e il sepolcro chiuso con un lastrone di pietra; sopra ogni lastra, poi, si ergeva un gigante allo scopo di proteggere le anime dei defunti, così come i betili, mentre le sculture riproducenti nuraghi erano posti per ornamento. Le statue. I giganti testimoniano che, rispetto al resto della Penisola,  in Sardegna l’arte monumentale si sviluppò almeno un cinquantennio prima. L’idea proviene dall’arte orientale, con la differenza fondamentale che la cultura nuragica sviluppo modelli assolutamente autoctoni, derivanti da alcuni tipi di bronzetti. Le tipologie di Gigante rinvenute sono principalmente  tre: il pugilatore, l’arciere e il guerriero. Il pugilatore: questa tipologia, tra i reperti recuperati finora, è quella più ricorrente. Il torso è rappresentato sempre nudo, con incisi l’ombelico o i capezzoli; i fianchi e il bacino sono cinti da un corto gonnellino svasato terminante a punta, identico a quello presente nella bronzistica dei pugilatori. La parte superiore dell’addome è protetta da un cinturone con lacci che tenevano legato il gonnellino. La testa delle figure è rivestita da una calotta liscia.

L’avambraccio destro – sin dal gomito – è rivestito dalla guaina protettiva verosimilmente riproducente un modello in cuoio, terminante con una calotta sferica nella quale era inserita l’arma metallica o in altro materiale. Il braccio sinistro tiene lo scudo a coprire il capo.

Lo scudo è di forma rettangolare ad angoli arrotondati. Anch’esso probabilmente di cuoio. Secondo Tronchetti si trattava di giocatori che in occasione di onoranze funebri importanti si esibivano in lotte. 

L’arciere: l’iconografia fin ora maggiormente attestata vede l’arciere con lunghe trecce a incorniciare il volto; l’arco nel braccio sinistro e il braccio destro piegato in avanti. Una pettorina protegge il torace mentre gli schinieri al polpaccio sono legati al corto gonnellino che cinge i fianchi attraverso dei laccetti.

Il guerriero: l’esemplare fin ora ritrovato mostra una straordinaria somiglianza con il bronzetto del Guerriero di Teti: questa assonanza è giustificata dal fatto che, attraverso il fiume Tirso, si poteva risalire facilmente fino a raggiungere il Santuario Abini.

Tutti i reperti sono stati ritrovati ammucchiati in un area non troppo distante da quella nella quale si trovavano in origine, ammassati alla rinfusa, gettati, talvolta con violenza, quasi a provocarne la rottura o la frammentazione, uno sull’altro. Il tempo, poi, ha fatto la sua parte nell’ulteriore distruzione: il Sinis, è una zona storicamente fertilissima e non è da escludere che la “discarica” sia stata creata per recuperare terreno da coltivare; i frammenti, infatti, dopo essere stati radunati sono stati ricoperti da una trentina di centimetri di terra, e abbandonati. Nel corso dei secoli, gli agricoltori locali, dimenticato cosa si celasse sotto il terreno, hanno continuato a solcarlo con l’aratro, continuando, stagione dopo stagione a sfregiare i resti dei Giganti.

Le scoperte più recenti: il basamento di pietra con calzari, rinvenuto a maggio scorso e forse appartenente al busto del pugilatore senza mani e piedi venuto alla luce a settembre scorso, apre nuovi scenari sui giganti di Mont’e Prama.

Questo pugilatore, infatti, è  diverso da tutti gli altri: la particolarità sta nel fatto che è quasi integro, ma soprattutto ne fatto che il pugno col guantone e lo scudo non li ha in alto sul capo come gli altri, ma sul petto e sul fianco. Non solo: ha un solo referente, un piccolo bronzetto nuragico che rappresenta un sacerdote pugilatore trovato in una tomba a Vulci. E questo non è un dettaglio di poco conto, ma contribuisce ad accreditare una sorta di record dei giganti di Mont’e Prama, quello di essere l’esempio più antico di grande statuaria dell’area Mediterranea. Grazie ad altri reperti rinvenuti nella tomba, il bronzetto di Vulci è infatti databile con certezza al nono secolo avanti Cristo, quando la grande statuaria greca, tanto per fare un esempio, era ancora di là da venire. 

Insomma per quanto molti misteri siano stati svelati, numerosi sono ancora quelli su cui far luce, in particolare i motivi che hanno portato alla distruzione dei Giganti di pietra e all’abbandono dell’area. Ci si augura che le future campagne di scavo ci faranno scoprire altri avvincenti tasselli di una storia tutta nostra, una storia della quale dobbiamo essere fieri.

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