Nuoro: lascio tutto e vado via …

Sonia

Nuoro: lascio tutto e vado via …

lunedì 17 Marzo 2014 - 14:07
La valigia, simbolo dell'emigrazione

La valigia, simbolo dell’emigrazione

“I giovani dovrebbero andare, partire. Ma per curiosità non per disperazione”

Potremo iniziare con le parole dell’architetto Renzo Piano questo articolo, dedicato a tutti i giovani nuoresi e del nuorese che in misura sempre maggiore decidono di lasciare la propria città per disperazione più che per la curiosità di scoprire nuove terre.

Un po’ per un sistema universitario limitante, un pò per la vita mondana che fa invidia ai migliori monasteri tibetani, sta di fatto che i giovani nuoresi hanno la voglia di evadere da un posto che non lascia intravedere alcuna prospettiva di un futuro florido.

Queste sono le storie differenti di due ragazze che si trovano lontane migliaia di chilometri entrambe accomunate dalla lontananza con la loro città d’origine, Nuoro.

Abbiamo parlato con Giulia, 26 anni, che adesso si trova niente meno che a Los Angeles, poi con Sara, 28 anni, mamma di tre figli, la cui storia ha fatto il giro di tutta Italia grazie al blog da lei creato Espatrio Isterico.

Giulia, ventiseienne nuorese,attualmente a Los Angeles:

CN: Ciao Giulia, racconta un po’ la tua storia, il tuo percorso formativo, cosa ti ha portato a vivere a Los Angeles e sopratutto cosa fai a Los Angeles.

G: Mi sono diplomata al Liceo Classico Giorgio Aproni il giorno dopo la vittoria dell’Italia ai Mondiali del 2006. Come tanti ragazzi nuoresi non ho ricevuto un orientamento approfondito e così, dopo un’estate all’insegna del nonstudio, mi sono iscritta alla Facoltà di Giurisprudenza a Cagliari. Sono bastati un paio di mesi per capire che non era la scelta giusta e ho deciso di ritirarmi e partire per l’Irlanda. Ho vissuto a Dublino, studiando inglese presso l’Abbey College e lavorando nel campo dell’organizzazione eventi.

Durante questi mesi all’estero ho capito che cosa mi sarebbe piaciuto approfondire e al mio ritorno in Italia mi sono iscritta alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano, Corso di Laurea in Linguaggi dei Media.

A Milano ci sono state le prime vere esperienze lavorative nell’ambito dei media e della comunicazione, fino al venerdì 17 in cui mi sono laureata con una tesi sulla poesia elettronica (materia da nerd!).

Subito dopo la triennale mi sono trasferita a New York City per studiare alla New York Film Academy, presso cui ho conseguito due master: uno in Screenwriting, l’altro in Broadcast Journalism.

Proprio a New York è iniziato il mio percorso professionale di autore e articolista freelance con diverse collaborazioni per cortometraggi, musical, spettacoli e artisti statunitensi. Le collaborazioni e i progetti successivi, prevalentemente nel campo della musica e della tv, hanno avuto luogo in Inghilterra, Spagna e Italia.

Ho passato il 2013 soprattutto in Sardegna, collaborando alla messa in scena della mia commedia storica Mariano IV d’Arborea, e lavorando a Nuoro nel campo della comunicazione, fino al mio nuovo trasferimento a Los Angeles. Perché? Mi sono diplomata in Acting For Film alla NYFA, mangio hamburger e pink lemonade, e faccio la mia parte nella realizzazione di corti cinematografici nella Universal Studios.

Scrivere è un mestiere da un lato alienante, perchè viene svolto in solitudine, e al tempo stesso liberante, dato che regala autonomia e indipendenza, senza legami di luoghi e di tempi (scadenze a parte). Questo mi permette, ad esempio, di lavorare per una casa discografica londinese sul mio Mac da uno Starbucks dell’Upper East Side o dalla veranda della mia casa di Siniscola. Non ho stabilità e sono sempre in movimento.

E questo movimento mi porta sì molto lontano da Nuoro, ma mi consente anche di tornarci.

CN: Hai detto di aver passato del tempo a Nuoro dopo essere già stata all’estero e dopo aver conseguito la Laurea a Milano e i Master a New York. Questo per poter lavorare alla tua commedia storica Mariano IV d’Arborea. Che riscontri hai avuto e sopratutto come vedi la scena teatrale nel nuorese?

G: Tutta la scena artistica in Sardegna presenta le stesse caratteristiche: siamo seduti su una miniera d’oro e non ce ne rendiamo conto. In ambito teatrale, nello specifico, abbiamo tanti attori talentuosi e tante compagnie desiderose di lavorare ma manca una rete di raccoglimento e coordinamento. Naturalmente, ci sarebbe bisogno di un maggiore aiuto economico da parte delle istituzioni, così come dei privati; una sorta di mecenatismo 2.0.

CN: Tra tutti i posti che hai girato e dove sei cresciuta, anche professionalmente, qual è il migliore e perchè?

G: Non saprei. Ogni luogo può essere considerato “il migliore” per qualcosa. I luoghi migliori sono sempre quelli dove non si è ancora stati o dove si è stati così tanto tempo fa da riuscire finalmente a vederne la bellezza al di fuori delle imminenti circostanze.

A livello professionale, credo che NYC sia stato, per ora, il “posto migliore” in cui ho lavorato. Ciò non riguarda solamente la città in sè, che è bellissima e accogliente, una musa irrefrenabile ispirante nuove storie, progetti, creazioni.

Con riferìmento infatti alla mia crescita professionale, posso raccontare che nel 2011 una compagnia americana ha scelto me (23enne donna non americana e non English Native speaker) come Head of Writing dopo un brevissimo periodo di training. Scrivevo testi di canzoni per show e musical in tutti gli Stati Uniti, prendevo decisioni sui futuri progetti aziendali, supervisionavo il lavoro degli artisti e avevo potere decisionale sui nuovi talenti da inserire negli spettacoli. Impensabile in Italia, inimmaginabile a Nuoro.

CN: Quali sono invece secondo te le problematiche che portano un giovane nuorese a volersi allontanare da Nuoro e come si potrebbe risolvere questa fuga giovanile continua.

G: Questo è un argomento molto complesso e io ho tutto meno che la soluzione in tasca. La crisi reale la si trova a Nuoro più che altrove. C’è poco lavoro, la città non offre reali attrattive (al di fuori dei bar) per le persone tra i 18 e i 35 anni.

E poi ci sono le due facce dell’isolanità: quella centripeta e quella centrifuga. Io faccio decisamente parte dei nuoresi che hanno forti tendenze centrifughe e sono sinceramente convinta che uscire da Nuoro sia un bene e non un male, specialmente nel 2014. Il mondo è vario, ci sono tante realtà diverse dalla nostra che dovrebbe essere quasi obbligatorio esplorare e conoscere, per comprendere il mondo, così come noi stessi.

Colombo non avrebbe mai scoperto l’America se fosse rimasto tutta la vita a Genova!

Penso che si debba vedere l’aspetto positivo di ciò che la crisi costringe spesso a fare, ovvero allontanarsi da casa. Si tratta di un sacrificio, sì, ma anche di un’occasione.

Quindi credo che il “centrifughismo nuorese” sia parte della sardità e parte anche della globalizzazione, e credo che la comunità non debba considerarlo un problema ma una opportunità. Le vere misure da utilizzare dovrebbero essere quelle che permettono un ritorno dei giovani, dopo che questi hanno fatto esperienza altrove. Non bisogna costringere a stare, ma offrire buoni motivi per tornare.

CN: Qual è il messaggio che dai ai giovani nuoresi che hanno intenzione di spostarsi all’estero? É vero quello che si racconta, che tutto è più semplice? Oppure anche lì bigogna darsi una buona dose di olio di gomito?

G: Il messaggio che do è ovviamente quello di partire. Nuoro si comprende ancora di più se ci si allontana da lei, almeno una volta.

Ma vorrei sapere chi è che racconta che tutto è più semplice! No, non lo è affatto: è tutto più difficile. Per quanto vivere a Nuoro possa essere difficile, rimane pur sempre il nostro nido. E stare nel nido è più semplice che spiccare il volo, anche se si sta scomodi. All’estero bisogna adattarsi a un nuovo modo di vivere, nuove persone, nuove abitudini, nuova lingua, nuova casa, nuovo tutto. Bisogna specialmente accettare di passare momenti di grande solitudine e nostalgia. E fuori Europa è ancora più complicato. Negli Stati Uniti un cittadino europeo non ha gli stessi diritti di un cittadino americano: ci sono visti, procedure, burocrazia da affrontare e da tenere sempre pronti per qualsiasi controllo.

La crisi esiste anche all’estero, però è diversa. Non vi è una crisi del valore del lavoro, ed esso continua ad essere vissuto molto seriamente, sia dai datori che dai dipendenti. C’è più professionalità, in generale. Ci sono più possibilità per tutti, più porte da aprire. New York riserva chiaramente maggiori opportunità di quante ne riservi Nuoro, non c’è bisogno che sia io a raccontarlo. E poi vi sono meritocrazia e meno clientelismo e spintarelle. Cioè, queste forme di corruzione esistono anche all’estero (certo che ci sono!) perchè gli uomini sono uomini ovunque, ma chi veramente merita, trova. Chi ha i requisiti passa sopra “i figli e gli amici di”, e lavora. Anche all’estero c’è chi offre ai giovani stage gratuiti in cambio di “visibilità” o di “esperienza”, ma ce ne sono tanti altri che pagano e permettono di fare carriera indipendentemente dall’età o dalla data d’ingresso in un’azienda/progetto.

Bisogna inoltre tenere a mente che le grandi città estere hanno sì molta domanda di lavoro e quindi anche molta più concorrenza nelle assunzioni, ma hanno certamente molta più offerta. Per cui con serietà e determinazione è assolutamente possibile non solo avere un lavoro pagato ma avere un lavoro pagato e appagante.

Infine incoraggio coloro che hanno voglia/possibilità di studiare, a iniziare la propria esperienza seguendo un corso formativo, prima di cercare un lavoro. Questo perchè un ambiente scolastico o accademico permette di conoscere e frequentare persone con obiettivi simili, aiuta a comprendere e in un certo senso spiegare il nuovo modus vivendi e eventualmente a indirizzare gli studenti verso le future scelte professioanali.

Questo è quello che ho appreso dalla mia esperienza. La mia opinione è assolutamente personale, così come personali sono le scelte e le situazioni di ciascuno. In sintesi, quello che dico è: “Se non hai dei validi motivi per non andare, vai!”

CN: Chiudiamo col chiederti: cosa ti manca di Nuoro?

G: Cosa mi manca? So chi sono e da dove vengo e non è vero che chi fa come me è senza radici. Io sono nuorese, le mie radici non le taglio: le pianto, di volta in volta, in nuovi suoli. Cosa mi manca quando sono lontana da Nuoro? La vista dei monti e delle vallate dalla terrazza della mia stanza, il profumo delle querce nelle passeggiate a Ugolìo, il senso dell’umorismo sempre sarcastico di noi nuoresi, il CIBO, la mia famiglia (animali inclusi, ovviamente).

Sara, ventottenne nuorese, adesso in Inghilterra

CN: Ciao, si può dire che la tua storia e quella della tua famiglia è ben chiara in quanto documentata nel tuo blog Espatrio Isterico.

Però per chi non la conosce hai un paio di righe per raccontarla, presentarti ai lettori di Cronache Nuoresi e presentare il tuo blog.

S: Ecco, ogni volta che condenso la mia storia sembra una cosa folle… e forse lo é. In sostanza, io e mio marito abbiamo lasciato i nostri lavori, fatto un biglietto di sola andata per un posto che non conoscevamo affatto, nel quale non avevamo agganci di alcun tipo.

Mi assumo la responsabilitá di sintetizzare ma non voglio sminuire la nostra esperienza. Io e mio marito abbiamo iniziato a fantasticare un’ipotetica vita all’estero mentre ero incinta della terza figlia, ma ancora non pensavamo fosse possibile. Poi ci siamo informati, avevamo voglia di fare il salto. C’é stato un evento del quale non voglio parlare, ma lo spiego nel libro che sto scrivendo, che ci ha spinti a fare questa scelta cosí improvvisa.

CN: Bene, una volta presi bagagli e bagaglini, via verso una meta nuova e sconosciuta.

Non di certo ti aspettavi una svolta del genere, visto che il lavoro lo avevi. In passato avevi già pensato di lasciare Nuoro? E se si perchè?

S: Ci ho pensato quando ero ragazzina, come tanti. Poi ho avuto un lavoro in banca e i bambini… la vita a Nuoro era dolce e serena, specialmente per una famiglia con tre figli, e per due persone come noi, che avevamo tanti amici, tanti cari sui quali contare. Facevamo una vita comoda, che ora, a distanza, apprezzo ancora di piú.

CN: Vi siete mai ricreduti sulla scelta? E sopratutto cosa è che vi fa pensare giorno per giorno di aver fatto invece la scelta migliore.

S: Ricreduti sulla scelta? scherzi? certo che si, a ore alterne! No, sto ironizzando. È un’esperienza molto particolare, la nostra, anche molto diversa a livello individuale. Io ho lo sprint nei geni, mi adatto, faccio, disfo, salto da una cosa all’altra e cambio idea alla velocitá della luce. Mio marito é piú lento e posato, piú saggio anche (ma non diteglielo!) e ci ha messo molto di piú ad apprezzare il posto e la cultura diversa.

Quest’esperienza ha prodotto un cambio radicale anche in noi: siamo cresciuti come persone, ci siamo stretti l’uno all’altro, ma ci siamo separati come coppia e abbiamo scelto strade diverse. Una rivoluzione in ogni senso, non priva di dolore e momenti di sconforto. Ora ci supportiamo e ci incoraggiamo a vicenda, ma non stiamo piú insieme.

Quindi la tua domanda… ricreduti. Beh, é facile cadere nella spirale del ‘’e se non fossimo mai partiti?’’.

Peró subentra la vita inglese, gli stimoli, l’abbondanza di lavoro, la possibilitá di scegliere e il multiculturalismo. Ogni giorno capisco che é stata la scelta migliore quando passeggio sull’oceano o per le strade, e la gente é felice. Quando alla tv non parlano di crisi. Quando il razzismo é una cosa rara e soprattutto NON tollerata. Quando le mie amiche parlano tre lingue diverse e ci capiamo comunque. Quando il weekend posso portare i bambini in almeno trenta posti diversi e in innumerevoli parchi e giardini. Ecco perché non so rispondere con precisione. Sono partita per essere piú felice e lo sono. Anche se in modo diverso da ció che mi aspettavo…!

CN: Di questi tempi sono tante le famiglie che come a voi hanno deciso di lasciare l’Italia. Il più delle volte se non viene fatto però è solo perchè sono presenti dei figli piccoli, tu che hai tre figli cosa puoi dire a riguardo e su come stanno vivendo l’esperienza.

S: Dico sempre che quando hai figli, ci vuole piú coraggio a stare in Italia che a andare via… Sento di avere una responsabilitá enorme nella crescita di tre persone felici. Perché a loro volta influenzeranno tante altre vite, nel corso delle loro etá. Il bombardamento dei media italiani e l’ossessione febbrile per le notizie devastanti, questa insistenza sulla precarietá che ti fa sentire come se la terra tremasse sotto i piedi, non mi faceva stare bene e di riflesso, non faceva stare bene loro.

La situazione che viviamo qui é per certi versi piú serena. I valori della societá inglese, l’uguaglianza e l’integrazione, sono valori imprescindibili per me e mio marito.

Come la vivono loro: la mia prima figlia ha undici anni e dice che la scuola inglese é molto piú stimolante e aperta di quella italiana che ha frequentato, nel senso che il numero di attivitá scolastiche ed extra-scolastiche (gratuite…) sono tante e varie. Nel giro di sei mesi non solo é diventata madrelingua (partendo da un inglese pari a zero), ma é una delle migliori dell’istituto.

Il mio secondo figlio frequenta una scuola montessoriana nella quale la parte ludica regna sovrana, ora stanno studiando lo spazio e li portano al museo delle scienze dove possono ‘’giocare’’ con le leggi fisiche… ha sei anni. Devo dire altro?

La terza ha due anni, e durante il giorno la porto da una childminder, che é una sorta di tata. Lavora a casa sua e puó tenere massimo cinque bambini per volta. La nostra tata viene da Zanzibar e a casa parlano swahili. Mia figlia parla inglese, italiano, swahili, e capisce bene spagnolo e portoghese.

I bambini qui vivono una dimensione molto a misura loro. Ci sono tante attivitá per loro e tanta attenzione.

Unico neo dell’istruzione inglese? Molta meno cultura generale, molte meno informazioni. Diciamo che gli intellettuali sono quelli che studiano da soli, perché i programmi scolastici danno piú importanza alle lezioni sulla gestione delle finanze (dalle elementari!) che non alla storia e geografia.

CN: Siamo arrivati a emigrare come ai vecchi tempi, cosa sono secondo te le problematiche che portano le persone a lasciare un posto come Nuoro e l’Italia in generale.

S: Non posso dire niente su Nuoro, mi manca la cittadina e mi mancano le persone. Credo che se in Sardegna hai il lavoro e la casa, non ti schiodi piú. Perché si vive bene. L’Italia vista da qui… mi stringe un nodo in gola. Mancano i servizi, l’efficenza, la puntualitá, la precisione. Non é un problema del singolo lavoratore, pubblico, privato o autonomo che sia. Credo che i governi abbiano mancato nella gestione delle finanze, abbiano toppato gravemente pensando ai profitti personali, e lasciando i fondi pubblici a secco. Ecco perché poche cose funzionano. Gli italiani non sono ne pigri, ne bamboccioni. Sono mal gestiti, casomai.

CN:Qual’è il messaggio che vuoi mandare ai giovani nuoresi che vogliono lasciare Nuoro?

S: Potete partire senza la valigia se volete, ma non lasciate a casa l’amore che ci hanno insegnato, il nostro calore, l’ospitalita, la solidarietá, la nostra generositá. Fate pace con il mondo prima di partire, cosa che io non ho fatto e ho dovuto fare dopo, perché per salpare bisogna lasciare l’ancora! E poi… non pianificare troppo che la vita ha un senso dell’umorismo un po’ beffardo!

Insomma quella con Nuoro è una storia di odio e amore e forse è proprio questo che la rende speciale nella sua semplicità…

«Il motivo principale per cui la gente se ne va dai paesini di provincia» diceva sempre Rant, «è perché così poi può sognare di tornarci. E il motivo per cui ci resta è per sognare di andarsene».

Mei Pintori © Tutti i diritti riservati

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