NUORO – In occasione del centenario della sua nascita, il MAN (Museo d’Arte della provincia di Nuoro) rende omaggio a Franco Pinna (La Maddalena 1925-Roma 1978), figura centrale della fotografia italiana del Novecento e dello stesso fotogiornalismo, con una mostra intitolata Franco Pinna. Sardegna a colori. Fotografie recuperate 1953–67, attraverso la quale il Museo prosegue la riflessione sul rapporto tra linguaggio fotografico e la Sardegna, terra di grande ispirazione.

Alcuni degli scatti a colori di Pinna in mostra
UN CORPUS DIMENTICATO – L’esposizione, curata da Paolo Pisanelli, presenta un corpus a lungo dimenticato che svela una dimensione sorprendente e poco conosciuta dello sguardo di Pinna: il colore. Molti lo hanno conosciuto solo attraverso il bianco e nero, ma questa selezione di circa ottanta opere – tra stampe fotografiche a colori (molte delle quali raramente esposte) e materiali d’archivio – amplia la nostra percezione critica della sua opera. Le immagini a colori sono il frutto di un meticoloso lavoro di recupero e restauro digitale delle cromie originali, voluta dall’Archivio Franco Pinna e che ne ha curato anche l’ideazione e la direzione scientifica.

Ex voto (foto Franco Pinna – Archivio Franco Pinna)
LA MOSTRA – Il percorso espositivo consta di ottanta fotografie, in gran parte inedite, compresi alcuni raffronti degli stessi soggetti ripresi sia a colori sia in bianco e nero, strumenti di lavoro come la sua Rolleiflex, diapositive a colori originali e pagine di provini a contatto in bianco e nero con la segnatura dei fotogrammi selezionati per la stampa. Per Pinna il colore era destinato principalmente alle riviste patinate del tempo, rispondendo a un’esigenza di attualità e cronaca, in contrasto con la storicizzazione tipica del bianco e nero, e la mostra rende conto anche di questo aspetto, con pubblicazioni d’epoca come Vie Nuove, Noi Donne, L’Espresso e Panorama.
La mostra traccia un percorso attraverso le campagne fotografiche sarde più significative realizzate dal Reporter in un arco temporale di un periodo che va dal 1953 e il 1967. Si parte con Orgosolo, un reportage del 1953 e il primo realizzato a colori in Sardegna; segue Canne al vento, che documenta il mondo di Grazia Deledda in occasione dell’uscita dello sceneggiato RAI dedicato alla scrittrice premio Nobel, pubblicato sul RadiocorriereTV nel 1958.

“Canne al vento”, RadiocorriereTV (1958)
Nei primi anni Cinquanta Pinna consolida la sua amicizia con l’antropologo Franco Cagnetta, all’epoca alle prese con l’Inchiesta su Orgosolo, il quale lo indirizza verso Ernesto De Martino, a sua volta impegnato nei preparativi per una spedizione multidisciplinare in Lucania, in cui era coinvolto, tra gli altri, anche il musicologo Diego Carpitella. Sarà proprio De Martino a inviarlo a Tonara, nell’estate del 1959, per la documentazione rito dell‘Argia (alcuni scatti di questo lavoro saranno inseriti nel terzo volume, dedicato al tarantolismo, della trilogia demartiniana Morte e pianto rituale nel mondo antico, La terra del rimorso, uscito nel 1961.
Negli anni Sessanta, Pinna è in Sardegna più volte, e le sue immagini di documentazione saranno pubblicate su vari libri e riviste, tra queste il celebre volume Sardegna. Una civiltà di pietra (1961). Alla fine degli anni Sessanta, poi, si assiste alla recrudescenza del fenomeno del banditismo: le immagini del reporter maddalenino di nascita ma romano di adozione compariranno a corredo dell’articolo di Corrado Stajano “Il pastore sardo passa il mitra al gangster”, uscito nel maggio del 1967 su Panorama. In quell’anno documenta, inoltre, la risposta dello Stato all’aumento al banditismo, con il pattugliamento del territorio e l’istituzione di innumerevoli posti di blocco stradali, e la protesta dei pastori con le manifestazioni inscenate a Cagliari davanti al palazzo della Regione.

Carnevale (foto Franco Pinna – Archivio Franco Pinna)
Il racconto proposto in mostra, mette in luce la straordinarietà della documentazione prodotta dai fotografi che si sono succeduti in Sardegna, soprattutto negli anni Cinquanta e, in parte, nel decennio successivo. Non è raro infatti riscontrare l’analogia di sguardo nella selezione dei soggetti da ritrarre, nei tagli e nelle prospettive delle inquadrature, pensiamo ai lavori prodotti nello stesso periodo da Federico Patellani o Wolfgang Suschitzky, Mario De Biasi, Marianne Sin Pfältzer, o ancora Toni Schneiders, Andreas Fridolin Weis Bentzon e Carlo Bavagnoli; uno sguardo che racconta una Sardegna ancora per certi versi profondamente arcaica ma già aperta alla modernità.
IL FOTOGRAFO DI SCENA – All’interno dell’esposizione, si può apprezzare anche un documentario che offre uno spaccato di quella che fu forse la principale sua attività fotografica quella legata al cinema e in particolare a Federico Fellini, che definì il suo modo di attraversare la realtà di “una lentezza da ierofante”, uno sguardo sospeso tra la lucidità dello scienziato e la profondità del sacerdote. E il legame del fotografo col cinema si apprezza soprattutto – come ben sottolinea lo stesso Pisanelli – nelle sue sequenze fotografiche, di cui ritroviamo un esempio pregnante nella documentazione delle varie fasi del rito purificatore dell’Argia di Tonara.
LE IMMAGINI E L’INTERVISTA A PISANELLI
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