La Presidente della regione in occasione della Giornata internazionale: “Una società che tollera questo non può dirsi libera”
“Nell’ultimo anno (tra il 2024 e il 2025) in Italia almeno 77 donne sono state uccise per femminicidio. Ogni nome è un’assenza. Ogni assenza è una ferita che attraversa la nostra comunità. Una società che tollera anche una sola assenza in più non può dirsi una società libera”. Così la presidente della regione Sardegna, Alessandra Todde, ha voluto ricordare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (25 novembre), denunciando la persistenza del fenomeno che colpisce anche l’isola.
LA SARDEGNA – Todde ha citato i nomi delle donne sarde vittime di femminicidio nell’ultimo anno: Giuseppina Massetti, Martina Gleboni, Maria Esterina Riccardi (Nuoro); Cinzia Pinna (Castelsardo); Francesca Deidda (San Sperate); Ignazia Tumatis (Cagliari); Maria Dolores Cannas (Sinnai) e Marisa Dessì (Cagliari). “Il femminicidio non è un incidente né un destino biologico, ma l’esito estremo di una cultura che ha imposto alle donne subordinazione e controllo“, ha osservato la governatrice. “È un sistema che ancora oggi alimenta disparità e normalizza comportamenti che non dovrebbero essere accettabili”.

Alessandra Todde
L’IMPEGNO DELLA REGIONE – Nel suo intervento, la presidente ha richiamato l’attenzione sulla violenza in crescita online, evidenziando come “molestie, stalking digitale, diffusione non consensuale di immagini, deepfake” riproducano logiche antiche con dinamiche nuove, colpendo le donne nella loro libertà. “Le donne non sono oggetti. È necessario un cambiamento culturale profondo”, ha ribadito la Todde, citando il recente attacco verbale a Valentina Pitzalis come sintomo del clima attuale.
La regione Sardegna ha risposto con interventi concreti: rafforzamento dei centri antiviolenza, con nuove linee guida per migliorare l’accesso ai servizi; maggiore supporto psicologico, legale e abitativo; investimenti sull’indipendenza economica delle donne, per superare il timore di denunciare.
“Esiste una responsabilità che nessuna politica può sostituire: quella collettiva“, ha concluso la Presidente, sottolineando l’importanza di “riconoscere i nomi, perché senza nomi la violenza resta un dato astratto”.
