L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali è al centro di una bufera politica e mediatica, innescata dalle accuse di conflitto d’interessi lanciate dalla trasmissione Report. Ma il presidente Stanzione respinge ogni ingerenza politica e chiude alla possibilità di dimissioni
IL CASO REPORT – La controversia che sta scuotendo l’Autorità Garante per la Privacy è esplosa dopo l’inchiesta del programma Report, condotto da Sigfrido Ranucci. La trasmissione aveva puntato i riflettori sui componenti dell’Autorità, accusandoli di contiguità con la politica e di potenziali conflitti d’interesse. In particolare, nel mirino è finito Agostino Ghiglia, membro del collegio, per i suoi presunti rapporti con Fratelli d’Italia (FdI). Report ha collegato tali rapporti alla multa inflitta dal Garante alla trasmissione stessa, dopo la messa in onda di un audio che coinvolgeva l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e la moglie. Questo elemento ha scatenato il sospetto di un tentativo di ingerenza politica, volto a intimidire il giornalismo d’inchiesta. Il dibattito ha immediatamente travalicato la sfera mediatica per approdare a quella istituzionale, con le opposizioni che chiedono a gran voce le dimissioni dell’intero collegio.
IL GARANTE NON SI DIMETTE – La risposta del presidente dell’Autorità, Pasquale Stanzione, è stata netta e senza appello, rilasciata attraverso un’intervista al TG1 che ha inasprito ulteriormente gli animi. Stanzione ha escluso categoricamente ogni passo indietro: “Il collegio non presenterà le proprie dimissioni, le accuse sono totalmente infondate”. Il presidente ha rincarato la dose, difendendo l’indipendenza dell’istituzione: “Quando la politica grida allo scioglimento o alle dimissioni dell’Autorità non è più credibile“. Stanzione ha definito “una mistificazione” la “narrazione di un Garante subalterno alla maggioranza di governo, che mira a delegittimarne l’azione, specie quando le decisioni sono sgradite o scomode”. E ha concluso: “Il Garante assume decisioni talvolta contrarie, talvolta favorevoli al governo, è questa la vicenda dell’autonomia”.
LA REAZIONE DELL’OPPOSIZIONE – Le dichiarazioni di Stanzione hanno scatenato l’ira delle opposizioni. Pd, M5s e Avs hanno attaccato duramente il presidente e l’intero collegio, chiedendone le dimissioni immediate. L’intervista al TG1 è stata definita una cosa “indegna”, con gli esponenti del Movimento 5 Stelle in Vigilanza Rai che hanno censurato anche l’ammiraglia giornalistica della Rai, accusata di essersi prestata a “comizi in chiave difensiva di questo tipo”. Annunciata un’interrogazione in Commissione Vigilanza sull’accaduto.
Nel frattempo, sebbene FdI abbia aperto all’ipotesi di un azzeramento del Garante avanzata dalle minoranze (azzeramento di cui parla anche Giuseppe Conte a DiMartedì), le opposizioni continuano a spingere per un cambio radicale. Il senatore Dario Parrini (Pd), vicepresidente della commissione Affari costituzionali, è tra i più convinti sostenitori della necessità di cambiare il metodo di elezione dell’Autorità.
Parrini ha proposto di fissare la regola per cui i membri di un’Autorità indipendente possano essere eletti solo con l’approvazione di almeno i tre quinti degli aventi diritto, sul modello dei membri laici della Corte Costituzionale. Il senatore ha ricordato che i due componenti eletti al Senato nel 2020, Ghiglia e Stanzione, ottennero un consenso inferiore al 40% degli aventi diritto, un dato che per l’opposizione mina la credibilità e l’autorevolezza del collegio.
Nonostante il pressing politico e le richieste di “non credibilità” del capogruppo M5S in Senato Stefano Patuanelli, al momento né il Governo né il Parlamento possono intervenire direttamente per sciogliere l’Autorità. Il passo indietro può arrivare solo per scelta dei diretti interessati.
Come ha ricordato il giurista Roberto Zaccaria, già presidente Rai, “l’unica ipotesi è che la maggioranza dei componenti, quindi tre su quattro, si dimetta“. Per l’eurodeputato Sandro Ruotolo (Pd), la situazione è paradossale: “Abbiamo la possibilità di far dimettere il Capo dello Stato, ma non il collegio del Garante della privacy”. L’opposizione punta ora a un “passo indietro” volontario, per poi discutere se sia necessario cambiare la legge per la scelta del Garante.
