ROMA – La Commissione pari opportunità (Cpo) del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti è tornata a intervenire con fermezza sulla narrazione mediatica dei femminicidi, richiamando all’ordine le testate dopo la copertura, ritenuta distorta, dell’omicidio di Cinzia Pinna.
Il monito sottolinea un principio deontologico fondamentale: il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso. Nonostante sia una norma codificata e ribadita nei corsi di formazione, la Cpo ha rilevato come alcuni articoli sul femminicidio di Cinzia Pinna si siano posti in “palese, pericoloso contrasto con le regole” che il giornalismo si è dato per una corretta informazione sulla violenza di genere.
La critica centrale mossa dall’Ordine verte sulla profonda disparità di trattamento riservata alla vittima rispetto al suo carnefice. La Commissione evidenzia come i resoconti abbiano spesso dedicato ampio spazio alla figura dell’omicida reo confesso, descrivendone la “vita brillante, imprenditoriale e personale”.
Al contrario, la vittima, Cinzia Pinna, è stata oggetto di una descrizione che si sofferma su dettagli parziali e stigmatizzanti. “Di Cinzia Pinna, che è stata barbaramente uccisa, ci viene invece fornita una descrizione parziale, ma che si sofferma su presunte patologie o ipotetiche dipendenze,” denuncia la Cpo.
La Commissione ribadisce con forza la verità dei fatti: “Cinzia Pinna è morta non in conseguenza di questo ma perché un uomo l’ha uccisa.” Questo focus distorto, secondo l’Ordine, rischia di spostare l’attenzione dalla responsabilità del crimine verso presunte cause legate alla vittima, alimentando stereotipi e pregiudizi.
La Cpo invita “ancora una volta i giornalisti e le giornaliste a dimostrare maggiore sensibilità nei confronti della vittima e ad un’assunzione di responsabilità”. L’obiettivo è quello di raccontare i femminicidi per quello che sono – crimini efferati – contribuendo così a spezzare gli stereotipi alla base della violenza di genere.
Non si tratta di censurare, precisa l’Ordine, ma di esigere che i fatti siano raccontati con il massimo rispetto per chi non c’è più, evitando di fornire una cronaca distorta che offenda la memoria della vittima e fuorvi l’opinione pubblica
