Nuoro. Dalla strage di “Sa Ferula” all’esilio di Nino Mereu fino all’ultimo tributo di sangue alla casa maledetta

Sonia

Nuoro. Dalla strage di “Sa Ferula” all’esilio di Nino Mereu fino all’ultimo tributo di sangue alla casa maledetta

di Antonangelo Liori
giovedì 04 Aprile 2024 - 17:24
Nuoro. Dalla strage di “Sa Ferula” all’esilio di Nino Mereu fino all’ultimo tributo di sangue alla casa maledetta

Nuoro. La casa in cui si e' compiuta la tragedia

NUORO – Nino Mereu studiava al liceo classico quando vennero i carabinieri ad arrestarlo. Aveva compiuto 18 anni e doveva ancora conseguire la maturità. In caserma gli dissero che un militare lo aveva visto nella loro tanca di Pratosardo mentre sventagliava un fazzoletto bianco al passaggio del furgone con gli stipendi degli operai ERLAAS. Pochi minuti dopo un manipolo di banditi aprì il fuoco contro i tre carabinieri che scortavano il mezzo uccidendoli tutti. Fulminei, i rapinatori caricarono sulle spalle i sacchi con i soldi e si dileguarono nei boschi della serra di Nuoro.

Ma na non era vero. In quegli istanti Nino scambiava tenere parole d’amore con la sua fidanzatina, la futura scrittrice Maria Giacobbe, sua coetanea e vicina di casa. Lei era bellissima. Lui era bellissimo. Lei era figlia di un borghese che aveva trascorso un lungo esilio a Parigi in quanto antifascista. Lui era il rampollo di una famiglia di possidenti nuoresi. Nino non fece il nome della ragazza per non mettere in piazza quel suo innocente quanto immenso amore e tacque.

Correva l’anno 1951, mese di ottobre. La cosiddetta “Strage di Sa Ferula” si era consumata il 9 settembre precedente. I carabinieri confusero il senso dell’onore di Nino per omertà e lo massacrarono di botte. Lo gonfiarono di botte sin quasi a ucciderlo. Poi gli posero davanti dei fogli da firmare in cambio della cessazione di quella tortura. Accecato dal sangue che gli colava sugli occhi Nino appose uno scarabocchio e fu gettato in una cella gelida. Trascorse in prigione cinque anni ma nella falsa confessione da lui sottoscritta aveva accusato un manipolo di pastori disperati, in prevalenza orgolesi, ai quali fu irrogata la pena dell’ergastolo.

Nuoro. L'ala della casa in cui e' avvenuto il crollo

Nuoro. L’ala della casa in cui e’ avvenuto il crollo

Quando uscì dalla prigione scoprì che Maria era partita per il nord Europa e non sarebbe più tornata. In famiglia veniva guardato con rammarico, avendo lui infamato un nome specchiato. Poi il rimorso. Il rimorso per tanta gente che non conosceva finita all’ergastolo a causa sua. Si chiuse così nella casa all’interno dell’ovile della famiglia, a Badu ‘e Carros, e da li non uscì più, abbruttendosi. Allevava maiali e un po’ di pecore, e coltivava la vigna. Tornava nella elegante palazzina di famiglia, in via Chironi, a notte inoltrata, quando tutti dormivano e partiva prima che spuntasse l’alba.

Se arrivava qualche cristiano nella sua azienda di Badu ‘e Carros per cercare funghi o erbe spontanee, offriva vino nero, pane carasau e salsiccia ma non chiedeva niente a nessuno, neppure il nome. Parlava poco e ascoltava meno. Furono trent’anni di esilio volontario.

Morì in punta di piedi, come aveva vissuto per 30 anni. Nessun erede reclamò mai quella casa: troppa sofferenza l’aveva segnata. Così cadde a pezzi, giorno dopo giorno. Sino a quando due ragazzini di Oliena, spinti dal gioco entrarono. Ma il soffitto cadde loro addosso uccidendoli.
La casa maledetta aveva reclamato il suo ultimo tributo di sangue.

Maria Giacobbe era morta a Copenaghen esattamente un mese prima. Adesso tutto è finito.

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