La violenza istituzionale fa parte di un universo silente e sconosciuto ai più ed è per questo motivo che i Centri Antiviolenza della rete Di. Re., donne in rete contro la violenza, avevano organizzato in occasione della ricorrenza dell’8 marzo eventi di sensibilizzazione sul tema.
Far comprendere il significato e le conseguenze della violenza istituzionale è uno degli scopi dei Centri Antiviolenza, che da tempo si battono contro l’applicazione della Legge 54/2006 che mette a dura prova la credibilità della donna con l’obbligo dell’affido condiviso e che la porta a temere per la propria sorte e quella della prole, inducendola a non denunciare per proteggerla da questa eventualità.
Una falla nel sistema che i Centri non si stancano di evidenziare, insieme alla C.T.U., Consulenza Tecnica d’Ufficio richiesta dai tribunali, in cui viene supposta la neutralità del tecnico preposto, affidandogli un ruolo super-partes che non è in grado di ricoprire, non a causa di negligenze o mancanze professionali ma perché costretto, in questo ruolo, a porre sullo stesso piano vittima e carnefice.
Le griglie interpretative a cui è sottoposta la vittima si rivelano inadeguate e dannose; il suo stato emotivo viene giudicato alterato per far fronte al ruolo genitoriale, con conseguenze devastanti per il suo percorso e per il suo spirito, già provato dalle violenze subìte.
«È violenza istituzionale – ha spiegato la psicologa Luisanna Porcu, responsabile di Onda Rosa di Nuoro e segretaria di Di.Re. – quella che viviamo quando apprendiamo le motivazioni delle sentenze nei nostri tribunali che continuano a considerare attenuanti i raptus o le tempeste emotive. È violenza istituzionale il mancato riconoscimento della violenza che le donne subiscono da parte di chi mette in dubbio la denuncia e i vissuti delle donne o addirittura trova nel loro comportamento la causa della violenza.
Alla violenza delle istituzioni – ha evidenziato Luisanna Porcu – noi rispondiamo con la pratica dei nostri Centri Antiviolenza accogliendo, sostenendo e sopratutto credendo alle donne.
Rispondiamo proponendo formazioni, dialogo con noi, incontri e sollecitando l’applicazione della Convenzione di Istanbul».
Fatima Becchere
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