Manasudas: una storia dai contorni macabri e oscuri

Sonia

Manasudas: una storia dai contorni macabri e oscuri

domenica 26 Gennaio 2014 - 13:59
Manasudas: una storia dai contorni macabri e oscuri

Un duplice omicidio da dimenticare

Il pozzo degli orrori a Manasuddas (foto Cronache Nuoresi)

Il pozzo degli orrori a Manasuddas (foto Cronache Nuoresi)

L’ultima udienza: il pentito non si presenta e discolpa gli altri due imputati 

Alle 9,50 si apre la Corte d’Assise d’Appello di Cagliari, presieduta dalla giudice Grazia Corradini e due giudici a latere donne. Quelli popolari erano in tutto nove, rispettivamente 6 donne e 3 uomini

Doveva essere la giornata in cui doveva ascoltare, per i fatti di Manasuddas, il pentito di Oliena, il quale però non si è presentato in aula a causa di una gravissima malattia contratta durante la sua detenzione, per la condanna all’ergastolo che stava scontando presso il carcere di Opera a Milano; attualmente è ricoverato presso l’Ospedale San Paolo di Milano..

Mauro Fele, nella lettera inviata a luglio 2013 alla Procura generale della Repubblica di Cagliari e letta in aula, discolpa e scagiona gli imputati Deiana e Pompitta, accollandosi tutte le colpe e dichiarando di aver ucciso prima la disoccupata di Oliena, Pietrina Mastrone e successivamente, il camionista di Samassi, Tiziano Cocco. Ammette inoltre di “non” essere disponibile ad altri interrogatori in futuro, qualora ce ne fosse bisogno.

Sebastiano Pompitta, non presente in aula, attualmente sconta la pena nel carcere di Alessandria.

Mario Deiana, la cui condanna all’ergastolo in primo grado e in appello è stata annullata dalla Corte di Cassazione di Roma, era in aula da uomo libero, scarcerato ai primi di gennaio per decorrenza dei termini di custodia cautelare.

Il 18 novembre 2011, Deiana e Pompitta furono condannati dalla corte d’appello di Sassari alla pena massima: l’ergastolo.

Presenti in aula Michele Mannironi e Angela Nanni, avvocati di parte civile per la famiglia Mastrone, Massimiliano Podda, avvocato per la famiglia Cocco, Gianluigi Mastio e Giovanni Colli, difensori di Deiana e Pompitta.

L’avvocato Michele Mannironi fa presente che ci sono profonde contraddizioni in 2 lettere scritte da Mauro Fele, una mandata ai familiari di Tiziano Cocco in cui affermava che nell’uccisione dello stesso, lui era innocente e gli altri Pompitta, Deiana, Loi e Boe, ne erano responsabili, mentre nell’altra, che sarebbe quella letta stamane in aula, dichiarava un’altra verità.

Alle 10,15 la corte si ritira per esaminare i dubbi poc’anzi esposti dall’avvocato Mannironi e rientra alle 11,05, annullando le due lettere.

Subito dopo viene sentito il Maresciallo dei Carabinieri di Nuoro, Giovanni Molotzu, che parla di tutti i contatti telefonici (chiamate, sms), intercorse tra gli imputati ( Fele, Pompitta, Deiana, Loi e Boe, questi ultimi non condannati) e i loro familiari e i conoscenti. Sono stati analizzati anche gli spostamenti delle 2 vittime prima dei loro omicidi.

Si ricostruisce in particolare il periodo che va dal 13 al 28 ottobre 2007, giorno del rinvenimento dei corpi. Mastrone venne uccisa il 13 mentre Cocco dodici giorni più tardi, cioè il 25 ottobre.

Salienti anche per la dinamica degli omicidi antecedenti al 13 ottobre e successivi al 28.

Nelle settimane successive al dopo il rinvenimento dei corpi, a Fele fu data alle fiamme un’automobile mentre nella casa di Deiana fu rinvenuta una pistola.

Nella prossima udienza del 12 febbraio, ci saranno le arringhe finali del Procuratore Generale di Cagliari, dei tre avvocati di parte civile e di uno della difesa, mentre in quella del 26 febbraio, sarà sentito l’ultimo difensore; poi ci saranno eventuali repliche e successivamente la corte si riunirà in camera di consiglio e a fine giornata dovrebbe essere emessa la sentenza.

La storia 

Il camionista 33enne di Samassi, Tiziano Cocco, scomparve da Oliena nella notte tra il 24 e il 25 ottobre del 2007, durante il suo solito giro in Barbagia e Baronia per la consegna della frutta e della verdura nei market “Nonna Isa”. L’indomani mattina il suo camion e qualche cassetta di verdura,venne ritrovato in località Su Grumene, nella vecchia strada tra Nuoro e Mamoiada, completamente bruciato. Da allora, del camionista non si sono avute più notizie fino alla sera del 27 ottobre 2007, quando una telefonata anonima alla Polizia, girata poi ai Carabinieri, partita dalla cabina telefonica di Piazza Santa Maria a Oliena, segnalava la presenza di un cadavere nel pozzo di Manasuddas.

Giunti sul posto, gli inquirenti vi rinvennero però due cadaveri.

Si scoprirà poi che la telefonata fu fatta da Mauro Fele.

I corpi di Pietrina Mastrone e Tiziano Cocco, vennero riesumati l’indomani mattina, 28 ottobre, dai Vigili del Fuoco di Nuoro.

Pietrina Mastrone, 41 anni, ex maestra elementare di Oliena, all’epoca disoccupata, fu eliminata tra il 14 e il 15 ottobre del 2007, perché non volle cedere agli istinti bestiali dei suoi carnefici; prima di morire aveva assunto ecstasy e aveva bevuto tantissimo. Il suo telefonino smetterà di suonare alle 0,55. All’1,55 sarò gettata nel pozzo di Manasuddas e verso le 3 del mattino, Fele, Deiana e Pompitta svuoteranno il suo conto Poste-pay, contenente solo pochi spiccioli.

Durante l’autopsia, essendo rimasto in acqua per tanto tempo, il suo cadavere era ormai in avanzato stato di decomposizione (le esalazioni erano talmente forti che pervadere tutti i piani dell’ospedale San Francesco.

Tiziano Cocco guadagnava solamente 900 euro al mese (comprensivi del secondo lavoro notturno). Svolgeva un lavoro che gli consentiva di vivere dignitosamente, pertanto, i suoi assassini non potevano certo aspettarsi grosse cifre tra i suoi risparmi. Quando uscì dalla propria abitazione, dopo aver dormito tutto il pomeriggio, chiese alla madre Assunta Lecis (morta di dolore per la perdita del figlio nel maggio del 2012), se le prestava 5 euro per rifornire la macchina prima di recarsi sul posto di lavoro a Villacidro.

I suoi carnefici, quando lo bloccarono, pensavano di trovargli addosso dai 10 ai 15 mila euro, frutto delle consegne di frutta e verdura, ma si sbagliarono, dato che quella di Oliena era solo la prima consegna notturna del suo giro nel Nuorese. Si scoprirà poi che la persona che avrebbero dovuto rapinare, era il titolare di un market Gabriele Demurtas.

Mario Deiana, nel 2010, non fu riconosciuto in aula dai commercianti all’ingrosso di frutta e verdura di Prato Sardo, ai quali i tre avevano tentato di vendere la merce sottratta al camionista, essendo completamente cambiato dalle foto segnaletiche fatte nel 2007 (anno dell’omicidio) e mostrate presso la Questura di Nuoro.

Il commando dei 5 banditi bloccò Tiziano Cocco all’altezza del Ponte di Papalore, sulla Oliena-Dorgali, lo caricò all’interno del portabagagli dell’automobile di Mauro Fele e lo condussero nell’ex casermetta dei Carabinieri a Manasuddas, zona conosciuta da Mario Deiana,  in passato servo pastore nella zona. Una volta sul posto, lo gettarono nel pozzo.

Secondo lo stesso Fele, la decisione di gettare Cocco nel pozzo ancora vivo, fu presa in seguito a un inutile tentativo fuga; ad assistere alla scena c’erano anche altre due persone: Consuelo Loi e Antonello Boe, i quali non furono processati perché le prove nei loro confronti non erano sufficienti ed erano prive di riscontri.

Cocco, una volta in acqua, un’acqua putrida e stagnante, non avendo nessun appiglio dove attaccarsi, essendo le pareti scivolose, per restare a galla, si è dovuto aggrappare al corpo in decomposizione di Pietrina Mastrone. Aveva anche una ferita alla testa, causata da un sasso lanciatogli da Pompitta, poiché si lamentava e urlava implorando i suoi carnefici di lasciarlo andare.

Il pozzo degli orrori a Manasuddas (foto Cronache Nuoresi)

Il pozzo degli orrori a Manasuddas (foto Cronache Nuoresi)

Entrambe le vittime finirono nel pozzo degli orrori quando erano ancora vive, infatti sono state trovate delle alghe nei polmoni, questo significa che hanno respirato in acqua e sono morte per asfissia da annegamento. Quando una persona muore in acqua di solito viene ritrovata a faccia in giù. La Mastrone venne ritrovata a faccia in su, perché Cocco si é aggrappato a quel corpo nel tentativo di sopravvivere a quell’orrore, al terrore e alla paura.

Un mese dopo il ritrovamento dei cadaveri, Pompitta tentò il suicidio impiccandosi con una corda ad una quercia, ma un operaio che passava li vivino lo salvò in extremis. Forse rendendosi conto di aver compiuto un duplice omicidio e avendo paura delle conseguenze, è stato assalito dal rimorso

Consuelo Loi, poco prima di bloccare Cocco, chiamò Deiana alle 4 del 25 ottobre e poi lo richiamerà la domenica mattina, il 28 ottobre, dopo il ritrovamento dei corpi.

Il 25 ottobre, Mauro Fele chiede a Pompitta di pulire la macchina (la Fiat Brava nera di Fele); il 27 Fele chiede conferma dell’avvenuta eliminazione delle tracce sulla vettura. La risposta è  affermativa. Quando gli inquirenti sequestrano la macchina, non troveranno neanche un’impronta, neppure sul volante.

Pompitta, durante un colloquio con la madre mentre era in carcere, le chiese di buttare il telefonino di Cocco (successivamente verrà gettato nella campagna di fronte alla pizzeria CK a Oliena).

I 2 imputati (Deiana e Pompitta), chiesero ai loro avvocati che i familiari del camionista di Samassi, smettessero di guardarli e fissarli perché dava loro fastidio.

Deiana fece dichiarazioni spontanee solamente in occasione dell’ultima udienza, prima del ritiro della Corte in camera di Consiglio, sostenendo che lui con quella “storia” non c’entrava nulla. L’avvocato Massimiliano Podda, parte civile per la famiglia di Tiziano Cocco, chiese un risarcimento di cinque euro e una provvisionale di un euro.

Tiziano cocco venne ucciso per soli 5 euro in contanti e per il valore di ulteriori 200 euro, equivalenti al valore della merce presente all’interno del camion, qualora i suoi assassini fossero riusciti a venderla.

Dalle intercettazioni degli inquirenti si apprende, grazie a una telefonata tra la moglie e la sorella di Fele, che quest’ultima invitava la cognata a buttare le cassette di verdura rimasta e i sacchetti delle patate, dato che era merce rubata al camionista di Samassi ucciso.

Mauro Fele venne giudicato col rito abbreviato e a porte chiuse, si pentì di quello che aveva fatto, ma venne ugualmente condannato all’ergastolo.

Paolo Sanna © TUTTI I DIRITTI RISERVATI!

 

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