Il Bandito buono ultimo atto

Sonia

Il Bandito buono ultimo atto

martedì 11 Giugno 2013 - 23:02
C’era una volta Graziano Mesina

Alle 3:30 del mattino i Carabinieri hanno bussato a casa della sorella Antonia, a Orgosolo, che spaventata ha aperto la porta: «cosa vorranno», avrà pensato.

Gli uomini in divisa le hanno mostrato un foglio, l’ordine di arresto per Graziano, che ancora assonnato viene buttato giù dal letto: è tranquillo non si scompone. Antonia è preoccupata, lui no. È sereno, come solo un capo sa essere, anzi come il capo dei capi, che apparentemente si era ripulito ma evidentemente non lo aveva fatto!

Dieci Giugno 2013, sono le 6 e 30 del mattino, arriva la telefonata: «hanno arrestato Mesina! Alle 10 e 30 ci sarà una conferenza stampa nella quale saranno spiegati tutti i dettagli». Il bandito buono, o meglio, quello che ci hanno detto che era diventato buono, improvvisamente ha mostrato di non essere cambiato, di essere un delinquente come tanti altri.

Una favola finita male, dunque, o forse una favola mai stata tale. Quando appariva in televisione dava l’impressione che la Sardegna a cui lui apparteneva e che aveva contribuito a fare assurgere agli onori delle cronache negli anni Sessanta e Settanta magicamente non esistesse più.

Alle elementari, per quelli della mia generazione, è stato un supplizio: il fenomeno del banditismo studiato come l’Ave Maria, dovevamo sapere tutto su questo argomento, perché era una una cosa della quale dovevamo vergognarci, una brutta piaga sociale della nostra terra, e se non capivi bene la lezione erano note, brutti voti e l’insegnante che, irritato, ti metteva dietro la lavagna e ti diceva: «ora rifletti sul banditismo e vergognati per tutti i sequestrati». Tu piangevi e chiedevi a “Nostro Signore” perché dovevi essere punito per colpa dei banditi.

Nel 1992, dopo il rilascio di Farouk Kassam, grazie alla presunta intermediazione di “Grazianeddu”, eravamo tutti più tranquilli, o meglio lo era chi, imbevuto di cultura popolare e televisiva, sul fenomeno si era sempre accontentato di sapere e poche volte di capire. Comunque era una consolazione credere che il bandito, la “Primula rossa”, interagisse con la giustizia e la legalità. Erano gli anni in cui l’economia italiana ancora funzionava, dove si pensava che tutto andasse bene, che ci fosse un futuro e credere che il bandito cattivo fosse passato dall’altra parte della barricata, era bello e proiettava un’immagine ottimistica dell’Italia e della Sardegna di domani.

Il dieci Giugno 2013, tutto questo si è interrotto, in un giorno estivo ma piovoso, Mesina ci ha ricordato che così tanto buono poi non era. Non era realmente quello che appariva in televisione, che ha ricevuto la grazia dal Presidente della Repubblica, che ha aiutato un bambino di sette anni a tornare libero.

Oggi risulta difficile associarlo al signore con la testa rasata di fresco, il sorriso e la giacca in pelle nera che ogni tanto capitava di incontrare. Sembra quasi un’operazione di marketing strategico: la mattina l’arresto dell’ex “Primula rossa” e la sera Roberto Saviano che parla di droga, mafie e riciclaggio di denaro sporco. Invece è stata una pura coincidenza che fa riflettere sul fatto che il Mesina reale è quello descritto dai Carabinieri dopo il suo arresto: capo di un’organizzazione malavitosa e tentacolare dedita al traffico di stupefacenti, all’estorsione, alle rapine e ai rapimenti.

Il cattivo torna in prigione e del bandito buono, oggi non resta più niente.

Sonia Meloni

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