Manu martoriato con piccone, pala e motosega da belve feroci pronte a uccidere ancora

Sonia

Manu martoriato con piccone, pala e motosega da belve feroci pronte a uccidere ancora

giovedì 18 Ottobre 2018 - 12:57
Manu martoriato con piccone, pala e motosega da belve feroci pronte a uccidere ancora

Il ritrovamento del corpo del giovane e nel riquadro in basso Manuel Careddu

Per il riconoscimento ufficiale bisognerà aspettare l’autopsia. Ma sul fatto che i resti recuperati nelle campagne di Ghilarza, a pochi chilometri dal cimitero del paese, siano quelli di Manuel Careddu non ci sono dubbi. Il giovane diciottenne di Macomer è stato barbaramente ucciso sulle sponde del lago Omodeo la notte dell’11 settembre scorso, il giorno della sua scomparsa. Già in carcere per omicidio premeditato e occultamento di cadavere c’è un ‘branco’ di giovanissimi: tre ventenni di Ghilarza, Christian Fodde, Matteo Satta e Riccardo Carta, un loro compaesano di 17 anni di origine romena, e una ragazza di Abbasanta, anche lei diciasettenne.

Nell’ordinanza di fermo – 36 pagine firmate dal procuratore di Oristano Enzio Domenico Basso e dal pm Andrea Chelo – emerge un quadro di ragazzini spietati: pronti ad uccidere per pochi spiccioli. E con un cuore di pietra. Fodde intercettato se la ride mentre commenta con la sua complice il delitto: «dovevi vedere per credere? Io me la rido perché non me ne frega un c… eh vabbè. Non me ne devi dare soldi perché… è difficile che lo dici». E il giorno dopo con un amico: «non è un gioco… quello di ammazzare va bene… è il dopo». Pronti anche ad ammazzare ancora: Fodde e la 17enne vengono captati mentre parlano di un loro amico “che sa”. «Lo uccidiamo?», chiede la ragazza. Lui risponde: «Mi devo sporcare per un essere… arrivederci…». Spietati, dunque. Lo dimostrano – dicono gli inquirenti – le condizioni in cui è stato trovato il cadavere, gettato in una fossa a pochi metri da una stradina: scheletrito e irriconoscibile. Ma soprattutto fatto a pezzi, probabilmente con una motosega. E sul cranio colpi evidenti di attrezzi da campagna, un piccone e una pala, utilizzati, secondo l’accusa, per ucciderlo. La svolta che ha consentito di ritrovare il cadavere, cercato inutilmente nei giorni scorsi, è stata resa possibile dalle indicazioni fornite ieri pomeriggio da uno dei cinque arrestati.

A decidere di seppellirlo proprio lì, sotto qualche pugno di terra, sarebbe stato Christian Fodde, che quel pezzo di campagna ghilarzese lo conosce bene, perché in quella zona ci sono anche i terreni della sua famiglia. Un lavoro fatto probabilmente di notte e comunque alla svelta: non lontano, infatti, ci sono aziende e abitazioni. Farsi trovare a scavare al buio avrebbe compromesso la strategia studiata – dice l’accusa – assieme ai suoi complici per quello che al “branco” sembrava un delitto perfetto. I cinque, invece, erano finiti nel mirino dei Carabinieri di Ghilarza e di Oristano già nelle ore immediatamente successive alla denuncia della scomparsa di Manuel. A incastrarli sono state poi le frasi pronunciate dentro l’auto del padre di Fodde, utilizzata per tendere la trappola mortale al 18enne e registrate da una microspia piazzata dagli inquirenti nell’ambito di un’altra indagine per omicidio. Quelle frasi, aggiunte ai rumori metallici – per la Procura si tratta di una pala, di un piccone e di una motosega – avevano anche rivelato la brutalità dell’assassinio, confermata dalle ferite riscontrate sul cadavere del giovane.

Ucciso – questa la convinzione degli inquirenti – perché si ostinava a chiedere il pagamento, poche centinaia di euro, degli spinelli che aveva procurato alla minorenne di Abbasanta. E per farseli dare non aveva esitato a presentarsi a casa della ragazza.

Uno “sgarbo” che gli è costata la vita. Sarebbe stata proprio la 17enne a pianificare il delitto insieme a Fodde, compiuto poi materialmente – sempre secondo l’ipotesi accusatoria – dall’altro minorenne. Erano le 22.51 dell’11 settembre: e la microspia registra i singhiozzi di lei, dopo l’omicidio, rimasta sola in macchina ad aspettare. “La microspia – scrivono gli inquirenti nell’ordinanza di fermo – capta i dialoghi, ma soprattutto i rumori di attrezzi metallici, quelli che presumibilmente sarebbero stati usati per uccidere e fare a pezzi Manuel Careddu. Ma soprattutto registra gli animi concitati del gruppo. Dopo l’omicidio, Christian Fodde e i due minori si dirigono al lago Omodeo.

«Ciò il suo telefonino – dice Fodde – gli faccio sparire tutto, non posso tenerlo in tasca». «Li buttiamo all’acqua», risponde il 17enne. E il maggiorenne: «Non so dove l’ha, dov’è la Sim». “A bordo dell’autovettura che parte dal lago Omodeo – scrivono gli inquirenti – non vi è più la presenza di Manu (Manuel Careddu)”. Alla fine della conversazione Christian Fodde intima al gruppetto di tenere la bocca cucita: «oh, non si parla di un caz…e di niente… niente… solo io».

«Lo avete ammazzato come se fosse una bestia, la dovete pagare cara e non sarà certamente la condanna esemplare che vi verrà inflitta a rasserenarmi. Combatterò fino ad avere giustizia, quella vera». ha detto Fabiola Balardi, la madre di Manuel Careddu, subito dopo il ritrovamento del corpo avvenuto nella tarda mattinata di ieri.

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