Arborea. Un museo d’architettura a cielo aperto

di Salvatore Novellu

Tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta del Novecento Mussolini decide di limitare l’emigrazione interna verso le grandi città e al contempo di arginare il fenomeno dello spopolamento rurale dando vita a una serie di grandiose opere pubbliche di bonifica delle aree paludose dell’Italia. Nell’ambito di questo progetto la Sardegna sarà una palestra in cui il regime fascista mostrerà i muscoli creando dal nulla e in zone fino a quel momento malsane e dominate dalla malaria tre nuove “città di fondazione” ovvero Mussolina di Sardegna (che nel 1944 cambierà nome in Arborea), Fertilia e Carbonia, rafforzando in questo modo anche la propria presenza nell’Isola.

L’ambizioso progetto di bonifica delle paludi a sud di Oristano e della loro trasformazione in terre da coltivare ha origine nel 1911 da parte del deputato di Terralba Felice Porcella, cui subentrerà nel 1919 la Società Anonima Bonifiche Sarde del Campidano di Oristano e più tardi la Società Bonifiche Sarde, con a capo l’ingegner Giulio Dolcetta.

Arborea, busto dell’ing. Giulio Dolcetta (foto S.Novellu)

Nell’area che un tempo era conosciuta come Alabirdis videro così la luce una serie di fabbricati rurali, collegati fra loro da una rete viaria ortogonale che seguiva i contorni degli appezzamenti di terreno ed era in parte costeggiata dai canali di irrigazione. Ad occuparli furono richiamate in terra sarda numerose famiglie di coloni provenienti da Veneto e Polesine, a ognuna delle quali fu assegnato con contratto di mezzadria un podere con relativa abitazione e una dotazione iniziale di bestiame. Nasce così il “Villaggio Mussolini“, inaugurato nel 1928 dal re Vittorio Emanuele III, che nel 1930 diventa comune a sé e muta il nome in Mussolinia. Qui, tra il 1934 e il 1935, sorgono gli edifici di rappresentanza del regime, ovvero la Casa del Fascio e la Casa del Balilla, le due idrovore di Luri e di Sassu, e le strutture strettamente legate all’economia agricola, tra cui il silos, i magazzini, il mulino, il mercato e il caseificio.

Arborea, Casa del Fascio (foto S.Novellu)

La propaganda di regime darà ampia eco alla sfida titanica intrapresa per piegare la natura al proprio volere e rendere un gioiello di produttività e di alto valore economico “questa terra che non era riuscita a emergere dalle acque del Diluvio” (come la definì nel 1936 Elio Vittorini nel suo Sardegna come un’infanzia), impresa che sarà santificata nel 1935 dalla visita del Duce in città.

Da punto di vista architettonico Mussolinia fu un vero e proprio laboratorio d’architettura in cui si misurarono alcuni dei migliori professionisti dell’epoca. A un’occhio attento, però, non sfugge come vi coesistano edifici stilisticamente dissimili tra loro, segno delle diverse fasi di costruzione, durante le quali si perse in parte anche l’ordine urbanistico originario. Si osservano dunque strutture marcatamente razionaliste e monumentali, perfettamente in linea con le tendenze stilistiche del Ventennio, affiancate da altre in forme e decorazioni neogotiche, ad altre ancora di gusto eclettico (in gran parte opera dell’ingegnere veneto Carlo Avanzini, genero di Dolcetta) che ancora Vittorini definirà in stile “di cartone”.

Arborea, idrovora di Sassu (foto S.Novellu)

Immaginiamo cosa doveva essere, negli anni Trenta e Quaranta, spostarsi dalla Oristano o dai paesi del circondario, ancora per lo più immobili in dimensione arcaica, a Arborea e trovarsi di fronte a edifici prodigiosi e di matrice macchinico-futurista come l’Idrovora di Sassu (1934 – ing. Flavio Scano), notevole e suggestiva ancora oggi che il tempo a riequilibrato le cose. O ancora, addentrandosi nel quartier generale del regime, imbattersi nel “grattacielo del silos” (per citare ancora Vittorini) o nella purezza dei volumi e nella modernità delle linee e degli spazi della Casa del Fascio o della Casa del Balilla, poi della Gioventù Italiana del Littorio (entrambe edificate tra il 1934 e il 1935 su progetto dell’ing. Giovanni Battista Ceas): lo stupore di certo era assicurato.

Oggi le cose sono cambiate e si sono ribaltate: i paesi e le città sono stati stravolti nelle forme e nelle abitudini dal progresso, e l’impressione che suscita Arborea è quella di ritrovarsi in una dimensione che poco ha di contemporaneo e, soprattutto, di Sardegna. E questa impressione si avverte ancora di più attraversandola di passaggio, quando lo scarto paesaggistico e urbanistico col contesto circostante balza ancor più prepotentemente all’occhio. Quello che prima era moderno oggi appare datato, seppur nell’accezione non negativa del termine, ma comunque estremamente affascinante. L’evoluzione, poi, c’è stata, basti pensare che gran parte del latte e di alcune colture orticole che ogni giorno finiscono sulle nostre tavole sono prodotti proprio a Arborea, ma questa è un’altra storia.

Arborea è ancora oggi un museo d’architettura a cielo aperto e per chi ha la passione per la disciplina o è attratto con le atmosfere d’altri tempi una visita in città è d’obbligo. Iniziando la nostra passeggiata su quello che un tempo era chiamato il rettifilo, scopriamo alcuni edifici notevoli che vi si affacciano, come la Villa del Presidente della Società Bonifiche Sarde (1930 – ing. Carlo Avanzini), altri ormai decadenti e il Municipio; di fronte a quest’ultimo si apre la piazza Maria Ausiliatrice, dominata dalla chiesa del Cristo Redentore (1926-27), col campanile su cui campeggia ancora la scritta “Resurgo” e la grande pala d’altare dipinta nel 1933 da Filippo Figari; poi ancora la storica locanda del Gallo Bianco e il Palazzo dei negozi.

Mussolinia, veduta della chiesa del SS Redentore, cartolina d’epoca

Dall’altra parte, poco oltre il Mercato Civico, entrati in corso Italia troviamo in sequenza, il silos, attualmente in fase di ristrutturazione per essere trasformato in “Centro del libro”, la Casa della GIL (Gioventù Italiana del Littorio, con palestra e piscina all’aperto, e la Casa del Fascio, con la sua torre littoria alta 22 metri e il salone delle adunate, entrambe fresche di restauro e riportate alla purezza delle forme razionaliste e ai colori originari.

In pochi passi è, dunque, possibile visitare un museo a cielo aperto in cui si possono apprezzare i segni dell’innovazione architettonica di cui furono capaci architetti e maestranze nel corso degli anni Venti e Trenta del secolo scorso, in qualche caso veri e propri capolavori.

Contenuto realizzato in collaborazione con la Regione Sardegna – Assessorato al Turismo, Artigianato e Commercio

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Salvatore