Ancora troppi i “se le è cercata” nella Giornata contro la violenza sulle donne

Di Sonia Meloni

“Era in giro da sola”, “Era senza segni evidenti di violenza”, “Lo ha provocato”: sono alcune delle frasi più ricorrenti usate così spesso per negare o minimizzare una violenza subita da una donna.

Questi ‘luoghi comuni’, che aggiungono ulteriore violenza a quella già subita, nel 2020 sono ancora troppi.

Una verità amara constatare che non sempre e non ovunque le cose sono cambiate. Sono circa 60anni che si combatte quotidianamente una battaglia per la parità di genere, troppo spesso negata a donne costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.

Il 25 novembre 1999 fu istituita la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999, nel ricordo di un brutale assassinio avvenuto nel 1960 nella Repubblica Dominicana, ai tempi del dittatore Trujillo, quando tre sorelle, Maria Teresa, Minerva e Patria Mirabal, considerate rivoluzionarie, vennero torturate, massacrate e i loro corpi gettati in un burrone simuland un incidente.

Durante il lockdown, invece, sono aumentate le richieste di sostegno. ma è doveroso precisare che la violenza contro le donne non è assolutamente legata al problema Covid. È un problema strutturale e come tale deve essere affrontato, accompagna 365 giorni l’anno tantissime donne. Stamattina, in conferenza stampa, sono stati presentati i dati dell’associazione nazionale D.i.Re, nel 2019 sono state accolte nei centri antiviolenza 20. 342 donne e solo il 27% ha sporto denuncia.

L’incremento si registra soprattutto in ambito familiare e affettivo. La fotografia è anche nella crescita delle chiamate al numero di emergenza 1522: +73% rispetto allo stesso periodo del 2019, con +59% di vittime a chiedere aiuto. Un dato che va declinato in due direzioni: da un lato c’è senz’altro l’aumento della violenza, dall’altro il modo in cui le campagne di sensibilizzazione stanno finalmente attecchendo sulle donne vittime di abusi.

Per mantenere in vita la memoria delle tante donne vittime, si ricorre spesso a simboli e colori. Su tutti le scarpe rosse, che simboleggiano l’amore che si trasforma in odio e in violenza, ma anche una panchina rossa, simbolo del posto occupato da una donna che non c’è più. O ancora l’anfora con due manici, il gesto del portare insieme che evidenzia l’importanza della solidarietà, e la “Giornata arancione”, proclamata dall’ONU per il 25 di ogni mese.

Anche giornalisticamente non è semplice raccontare un femminicidio. Spesso a trasposizione giornalistica dei femminicidi non è aderente alla realtà: i principali soggetti delle news sono donne molto giovani a differenza dei dati Istat (la fascia più colpita va dai 35 ai 60 anni); i responsabili sono per l’80% conosciuti dalle vittime a differenza dei tanti resoconti fatti che evidenziano una presenza di “male oscuro”  che viene dal contesto esterno oltre a sottolineare aspetti della vicenda atti quasi a far ricadere la colpa sempre sui soggetti femminili con una costante mancanza di responsabilità degli autori della violenza.

Insomma c’è ancora molto da fare ma già che ci sia una consapevolezza della violenza sulle donne è un gran bel passo.

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Sonia