I riti propiziatori e dionisiaci evocati dalla maschera de Sos Thurpos

Sonia

I riti propiziatori e dionisiaci evocati dalla maschera de Sos Thurpos

martedì 18 Febbraio 2020 - 19:43
I riti propiziatori e dionisiaci evocati dalla maschera de Sos Thurpos

Maschera a Ollolai (© foto S.Novellu)

“Partiti a cavallo alla prima alba, imbacuccati nei loro cappotti di orbace nero, con i cappucci puntuti rialzati sembravano gente di inferno. Neri anche i cavalli, finché non fu come se qualcuno fosse riuscito a incendiare, a levante, il bosco umido. Era l’aurora!”

Così scrisse il cugino del premio nobel Grazia Deledda, Salvatore Cambosu, sui Thurpos.

Ci troviamo a Orotelli, un paesello di neanche 2000 anime arroccato nell’antica subregione della Barbagia che, come altri paesi del centro Sardegna, è colmo di cultura, usanze e tradizioni antiche religiose e pagane. Una di queste è il suggestivo carnevale, caratterizzato dalla sua antichissima maschera: Sos Thurpos.

Grazie un’insegnante, Giovanna Pala Sirca, i suoi alunni, e la memoria degli anziani del paese si riscoprì, nel 1978, il carnevale di Orotelli che rischiava di essere dimenticato per sempre a causa dell’ingente emigrazione che da sempre caratterizza questa zona antica, magica e ancora intatta del centro Sardegna.

Sos Thurpos mimano un rituale propiziatorio praticato nell’antichità, caduto in disuso con l’avvento del cristianesimo e col tempo pervenuto a noi come carnevale.

L’economia di questo paese si reggeva sull’agricoltura, per questo i contadini superstiziosi erano inclini a fare dei rituali in cui chiedevano, nei periodi di siccità, ad una divinità pagana, piogge abbondanti che potessero dare una crescita rigogliosa delle messi dalla quale dipendeva la loro sopravvivenza. La divinità invocata era Maimone, o Dionisio, per l’appunto il dio della pioggia. In queste feste Dionisiache, si onorava Maimone mimando ciò che egli aveva fatto sulla terra.

La testimonianza di questo fatto potrebbe essere la presenza, nel centro storico di Orotelli, di uno spiazzo chiamato “vicolo Dionisi” dove confluivano le acque piovane di quasi tutto il paese, andando a formare un fiumiciattolo chiamato appunto “ Rio Dionisi”.

La parola Thurpos significa “cieco” ed è una figura sprovvista di maschera lignea, a differenza delle altre presenti nei carnevali barbaricini. Essi si aggirano, infatti, a volto scoperto ma annerito dalla cenere di sughero che è stato bruciato durante la vestizione. Proprio come li descrive nelle sue righe Cambosu, sos Thurpos, indossano un cappotto di orbace nero, detto in sardo “su gabbanu”, col cappuccio calato sugli occhi, pantaloni a giacca di velluto, scarponi e gambali in pelle e, infine, una bandoliera di campanacci – “s’otturada” – con una fune legata intorno alla vita.

Le maschere, con il loro passo che sembra quasi una danza, scuotono i campanacci con l’obiettivo di cacciare le forze del male che potevano distruggere l’annata agraria. Due Thurpos procedono davanti insieme e si prestano a imitare i buoi che, infatti, non parlano ma muggiscono e scalciano come l’animale. Questi sono tenuti a bada dal contadino, detto “Thurpu Voinarzu” che li domina, li stimola, li guida con le redini, e urla ai “buoi” per spronarli a lavorare.

Un’altra coppia si presta a mimare i buoi con un aratro di legno alle loro spalle, seguiti dal “Thurpu Semenadore” che, come potete intuire dal suo nome, semina il grano prendendolo da un recipiente di sughero – “s’uppeddu” – e lanciandolo sul pubblico. Quest’ultimo rappresenta un gesto di augurio di fertilità e abbondanza per gli anni a venire.

Le maschere, con il loro passo che sembra quasi una danza, scuotono i campanacci con l’obiettivo di cacciare le forze del male che potevano distruggere l’annata agraria. Due Thurpos procedono davanti insieme e si prestano a imitare i buoi che, infatti, non parlano ma muggiscono e scalciano come l’animale. Questi sono tenuti a bada dal contadino, detto “Thurpu Voinarzu” che li domina, li stimola, li guida con le redini, e urla ai “buoi” per spronarli a lavorare.

Un’altra coppia si presta a mimare i buoi con un aratro di legno alle loro spalle, seguiti dal “Thurpu Semenadore” che, come potete intuire dal suo nome, semina il grano prendendolo da un recipiente di sughero – “s’uppeddu” – e lanciandolo sul pubblico. Quest’ultimo rappresenta un gesto di augurio di fertilità e abbondanza per gli anni a venire.

Subito dopo troviamo “su Thurpu Vrailarzu” – cioè il maniscalco – con in mano un’antica cassetta degli attrezzi che sono pronti ad essere utilizzati per ferrare i “buoi”.

Ma il comportamento ancora più coinvolgente per gli spettatori è che i Thurpos, nella loro esibizione ad Orotelli, nella prima domenica di carnevale, si apprestano a circondare con le loro funi le persone che assistono allo spettacolo, per poi catturare quello ritenuto più forte e, se non riesce a liberarsi dalla presa, è costretto a offrire da bere a tutti. Questo rituale viene chiamato “sa Tenta” – la traduzione letterale è “la presa” – e la persona catturata lotta con tutte le sue forze per liberarsi dalla stretta dei Thurpos. Mentre la seconda domenica di carnevale i ruoli si invertono e sono gli stessi Thurpos che, dopo questa “cattura”, offrono da bere al fortunato spettatore. Anche questo, simboleggia qualcosa: l’eterna lotta fra l’uomo e la natura, o meglio, il tentativo dell’uomo di acchiappare i fattori positivi della natura da cui dipendeva la sua esistenza.

Esibizione dei Thurpos di Orotelli a Ollolai (© foto S.Novellu)

Esibizione dei Thurpos di Orotelli a Ollolai (© foto S.Novellu)

Abbiamo visto come i Thurpos interpretino vari ruoli durante le loro esibizioni ma, al momento della vestizione, non vi è alcuna differenza tra loro: proprio come accade nel lavoro dei campi dove, uomo e animale, diventano una cosa unica, uniti da un rapporto indissolubile rappresentato dalle funi e dai cordoni ombelicali che uniscono il contadino al giogo e viceversa.

Ebbene, con l’avvento del cristianesimo, questo rito è diventato carnevale. Questa maschera, nel carnevale, raffigura l’eterna lotta dei contadini contro i proprietari dei campi e dei pascoli, rappresentata dal capovolgimento dei ruoli tra contadino e bue.

Oggi, l’esibizione dei Thurpos è un fattore di aggregazione sociale; è un momento di festa sentito dall’intera comunità; uno spettacolo che lascia a bocca aperta il turista che, talmente impressionato dallo spettacolo a cui sta assistendo, si appresta a immortalare quell’esibizione nei suoi scatti spesso anche molto suggestivi.

Se siete curiosi e avete in mente una vacanza in Sardegna allora -badate bene! – dovreste sapere che Sos Thurpos non si esibiscono solamente a carnevale. La prima uscita dell’anno avviene in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, dopodiché, durante l’anno – specialmente d’estate -, potrete imbattervi in una loro esibizione in diverse occasioni e in molteplici località sarde anche costiere. Di solito non sono soli, ma accompagnati da una costellazione di maschere sarde provenienti da varie zone della Sardegna, in un tripudio di colori, bizzarria, divertimento e suggestione.

Per questo mi rivolgo a voi cari turisti, che ogni anno venite nella nostra isola perché siete affascinati dalle sue meravigliose coste – o, forse, solamente dalla costa di color smeraldo -, visitate anche il cuore della Sardegna! Le sue tradizioni lunghe secoli, misteriose, magiche, suggestive vi cattureranno proprio come fanno i Thurpos con la folla che li circonda. Si mio caro viaggiatore, è una legge del contrappasso che porterai dentro la tua anima per l’eternità!

Per gentile concessione di Stefania Ruggiu

Tratto da https://www.lapoliticadelpopolo.it/latest-news/

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