Macomer. Una fiaccolata per Manu: una tragedia che non può passare inosservata

Una marea umana si è stretta attorno alla famiglia di Manuel Careddu, il 18enne di Macomer barbaramente ucciso l’11 settembre scorso e per il cui omicidio sono in carcere sei giovanissimi, due dei quali minorenni.

Migliaia di persone e tanti giovani hanno dato vita a una fiaccolata, tra silenzio e dolore, per Macomer, Abbasanta e Ghilarza – paesi questi ultimi di alcuni degli arrestati – che si sono trovati a piangere il giovane ucciso e riflettere su un evento che ha sconvolto le tre comunità. Un silenzio rotto solo in parte dalla nonna della vittima: «Manuel è stato rovinato dalle cattive compagnie», ha detto.

Non c’era invece Fabiola Balardi, la mamma di Manuel, troppo provata dal dolore.

Un momento della fiaccolata per Manuel Careddu

In testa al corteo, partito dal Municipio, il sindaco di Macomer Antonio Succu e quelli di Abbasanta e Ghilarza Stefano Sanna e Alessandro Defrassu, che hanno portato un alberello di ulivo come simbolo di pace. Poi tanta gente per cercare di trovare un senso alla barbarie di un branco composto da giovani.

«Tutto questo perché la tragedia di Manuel non passi inosservata – ha detto Succu – questo momento di riflessione ci deve aiutare a ritrovare la strada. Si è accesa una spia importante nelle nostre comunità, oggi abbiamo chiamato a raccolta tutti: amministratori, associazioni, ragazzi delle scuole, mondo degli educatori e degli insegnanti. Dobbiamo fare in modo che la spia si spenga».

«Martedì 30 ottobre ci sarà una camminata da Abbasanta a Ghilarza per continuare a meditare sull’accaduto – ha detto Sanna; stiamo aiutando con un’equipe di esperti la famiglia della 17enne che si trova in carcere, faremo quanto possibile per superare questo momento».

«L’albero di ulivo è un segnale affinché nelle nostre comunità ritorni la pace e l’armonia – ha scandito Defrassu; i ragazzi coinvolti vivevano sicuramente un disagio ma nessuno si aspettava un tragedia del genere».

«Per i nostri ragazzi e per noi è un momento inquietante – ha concluso padre Salvatore Morittu, da sempre impegnato nel recupero di giovani disagiati – qui entrano in gioco diverse responsabilità. Non possiamo chiudere gli occhi: dobbiamo riallacciare i rapporti tra ragazzi, famiglie e educatori».

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Salvatore