Il carcere e suoi paradossi, da affollamento a morte: lectio magistralis di Giovanni Maria Flick

Ergastolo, reclusione, morte negli istituti di pena e custodia cautelare: sono i quattro paradossi del carcere in Italia, spiegati a Roma dal presidente emerito della Corte Costituzionale e professore di diritto penale Giovanni Maria Flick nella lectio magistralis all’inaugurazione dell’anno accademico della scuola di specializzazione per le professioni legali dell’università Lumsa.

il primo paradosso del carcere è – secondo Flick – l’ergastolo: pena detentiva “per sempre” e in quanto tale illegittima, che, tuttavia, diventa legittima grazie alla presenza di istituti che, come la liberazione condizionale, consentono al condannato il recupero della libertà dopo un certo tempo e a certe condizioni. Secondo paradosso: la reclusione. Per quanto l’art. 27 della Costituzioni specifichi che “le pene” devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, di fatto il ventaglio di pene maggiormente applicate resta limitato a due tipologie: la pena pecuniaria e la pena detentiva, ossia la privazione della libertà personale. Non prendendo adeguatamente in considerazione – ha sottolineato Flick – altri tipi di pena, come, ad esempio, la detenzione domiciliare o i lavori socialmente utili. Non solo: il nostro sistema è diventato affetto da strabismo, per cui con un occhio si guarda alla umanizzazione della pena, con l’altro occhio si largheggia nell’uso della pena del carcere. Tutto ciò porta inevitabilmente al sovraffollamento degli istituti carcerari: situazione drammatica, talvolta al di là della dignità umana, e limite alla rieducazione, che è l’obiettivo primario della detenzione in carcere.

Terzo paradosso, secondo Flick, è che nelle carceri si continua a morire. Si muore per malasanità, spesso dovuta a carenza di assistenza in un contesto di sovraffollamento; si muore per ‘fuoco amico’, ossia per la violenza di altri detenuti; si muore per stressa da adattamento (52 suicidi lo scorso anno); si muore anche per violenza da parte di chi è preposto alla custodia (Flick ha citato i fatti di Bolzaneto e il caso Cucchi).

L’ultimo paradosso del carcere citato dal presidente emerito della Consulta è quello della custodia cautelare, utilizzata quasi come pena anticipata o tranquillante sociale e non come strumento da usare con extrema ratio. Di fronte a questi paradossi si è assistito di recente – ha detto Flick – a un risveglio culturale sul tema del carcere e dei suoi problemi: da quello dell’ “identità” dei detenuti (stranieri, donne e minori) a quello della religione dietro le sbarre; dal lavoro, all’istruzione, all’affettività dei reclusi. Materie alle quali, tuttavia, si frappongono ostacoli legati ancora una volta al sovraffollamento, ad esigenze di sicurezza, all’interpretazione stessa delle leggi. Con una conclusione – secondo Flick – tutto sommato amara: in materia di carcere si è ancora prevenuti. E dominano una serie di paure: la paura generica dell’opinione pubblica di fronte a tutto ciò che è carcere; la paura del legislatore di prendere provvedimenti che verrebbero criticati e censurati come concessione di regali ai detenuti; la paura del governo, che, recentemente, non ha portato all’approvazione il decreto legislativo che introduceva alcune previsioni specifiche in materia di sanità carceraria, di accesso a misure alternative alla carcerazione e in materia di rapporti del detenuto con l’esterno. Provvedimenti che sono stati tutti fortemente criticati e che lasciano pensare – ha concluso Flick – che bisognerà aver pazienza e attendere qualche decina d’anni per raggiungere piccole conquiste che erano a portata di mano.

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Sonia