«Viviamo in un Paese incivile che non concede di morire in modo dignitoso»

Nel giro di pochi giorni diversi casi di “suicidio assistito” in Svizzera

Mai come in questi giorni, il tema dell’eutanasia è stato di attualità.

Gianni Trez

«Non ha sofferto, era sereno, io e mia figlia gli abbiamo stretto le mani fino all’ultimo» ha raccontato la moglie Emanuela Di Sanzo. È morto così, a mezzogiorno di ieri, Gianni Trez, il pensionato veneziano di 65 anni che ha scelto il suicidio assistito nella stessa clinica svizzera Dignitas. La moglie di Trez, ha poi ringraziato gli infermieri, i volontari veneti dell’Avapo, lanciando infine un appello ai parlamentari: «ora facciano una legge per impedire questi pellegrinaggi crudeli».

La struttura è la stessa nella quale si è lasciato morire Fabiano Antoniani (noto, forse a sproposito, come Dj Fabo, per una parentesi professionale della propria vita). Ripercorrendo le tappe principali della propria vita nel testo autobiografico inedito consegnato all’associazione Luca Coscioni prima di morire, Antoniani si sofferma sull’incidente spartiacque tra il prima, a colori, e il dopo, buio. Dopo il racconto di come ha abbandonato il “posto fisso” per il lavoro da dj a Ibiza, scrive di quando durante uno dei rientri in Italia, “dopo aver suonato una sera in un locale di Milano, tornando a casa, un rovinoso incidente mi spezza i sogni e la mia vita”, racconta ricordando il giorno in cui divenne cieco e tetraplegico. Descrive, poi, cosa sia cambiato da allora: “Vivo oggi a casa di mia madre a Milano con una persona che ci aiuta e la mia fidanzata che passa più tempo possibile con me. Mi portano fuori ma spesso non ne ho voglia. Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione non trovando più il senso della mia vita ora” motivando così la scelta di chiedere di morire.

Da qui il contatto con l’Associazione Luca Coscioni, “una realtà che difende i diritti civili in ogni fase dell’esistenza dei cittadini. Compreso il diritto sacrosanto di morire”. E così è stato, per quanto in un altro paese, la Svizzera, il 27 febbraio appena trascorso, all’età di 39 anni.

«Potrei vivere ancora mesi, forse anni, ma non riesco a mangiare, a parlare, a dormireProvo dolori lancinanti. È una sofferenza senza senso». Sono le parole di Gianni Di Sanzo, che si è sottoposto a suicidio assistito nella stessa clinica di Antoniani. «Sono sempre stato un salutista. Vegano, addirittura – raccontava l’uomo. Poi la diagnosi del tumore, la prima operazione, le cure. Quindi la ricaduta, altre terapie, altra operazione. E ho detto basta! Mi sono informato, ho mandato le cartelle cliniche. E alla fine, dopo mesi di attesa, mi hanno convocato».

La moglie Emanuela, in Svizzera con la figlia Marta, ha spiegato che «Gianni era malato da due anni e la sua malattia lo ha ridotto ad avere una non vita. Diversi anni fa, ben prima che Gianni si ammalasse, eravamo insieme davanti alla televisione e guardavamo un programma dove c’era un servizio proprio su questo suicidio assistito in Svizzera – ha raccontato la donna. Gianni mi ha guardato e me lo ha detto in quel momento: “Se mi ammalo voglio morire così”. Adesso siamo qui. Viviamo in un Paese incivile che non concede di morire in modo dignitoso».

© Tutti i diritti riservati

Share
Published by
Sonia