“Adios Nùgoro amada”. Una storia lunga oltre 120 anni

La storia dello struggente canto d’addio del Canonico Solinas (Antonio Giuseppe Solinas, Nuoro 1872 – 1903), “Il cantore di Nuoro”, che in quel lontano 1893 con infinita nostalgia lasciava la sua città. I suoi versi, divenuti popolari grazie al noto brano corale composto nel 1962 dal maestro Giampaolo Mele, sono diventati nel tempo per i nuoresi, il canto del distacco dalla propria terra natia.

Nuoro anno 1893. È l’alba di un fresco mattino d’autunno, sul marciapiede antistante alla piccola stazione ferroviaria in località Sa ‘e Marine (attuale Piazza d’Italia), un giovane seminarista con un lungo abito talare nero, pallido nel viso a dall’aria triste e malinconica, attende pazientemente la partenza del piccolo treno delle Ferrovie Secondarie che lo porterà a Macomer per poi proseguire per Sassari. Il giovane ha con sé una grossa valigia di cartone che appoggia sul marciapiede, mentre tra le mani tiene aperto un grosso breviario nero bordato di rosso, su cui, dopo aver inforcato un paio di occhialetti getta di tanto in tanto lo sguardo per poi bisbigliare sommessamente qualche prece.

Il suo nome è Antonio Giuseppe Solinas, è un giovane nuorese che in città frequenta con profitto il Seminario Vescovile, e che da tutti è conosciuto e stimato per la passione che coltiva per la pittura e il canto, e soprattutto per la poesia in limba, in cui si dimostra abile rimatore nonostante la sua giovane età, tanto da essere tenuto in grande considerazione dagli anziani poeti del posto.

Il testo originale di “Adios Nùgoro amada”

Uno sbuffo dell’ansimante vaporiera in sosta, avverte che la partenza è prossima; il giovane, afferrata la valigia con un salto, balza sulla carrozza di terza classe e occupa posto su una panca di legno accanto al finestrino, mentre il convoglio dopo un forte fischio tra sbuffi di vapore inizia la sua corsa costeggiando il dirupo del Monte Dionisi. Il giovane, con l’aria sempre più triste e pensierosa riprende la lettura del breviario, mentre il convoglio dopo uno stridulo fischio si accinge a imboccare la grande curva a sinistra che lo farà scomparire dalla vista di Nuoro. Ha gli occhi lucidi, mentre assorto nei pensieri volge sguardo pensieroso a Nuoro che scompare all’orizzonte che sta alle sue spalle. Asciuga una lacrima, mentre dall’ampia tasca della tonaca estrae un taccuino formato di piccole pagine di carta quadrettata; riflette in poco, e poi con una matita inizia a scrivere su quelle pagine:

Adios (Deghina glossa)

Cun crudelissima pena
ti lasso, o terra istimada;
adios Nugor amada,
prite parto a terr’anzena.

Ecco già bennida s’ora
de partire dolorosa!
Già de purpura e de rosa
s’oriente si colora,
già cumparit s’Aurora
dae su Monte serena,
la saludan cun amena
boghe, puzones canoros:
e deo parto, o Nugòro,
cun crudelissima pena!

Frades, sorre, mam’amante,
dilettos parentes mios,
amigos caros, adios,
ecco su fatal’istante!
Cun su coro palpitante,
cun boghe tremula e lena
bos poto fàghere appena
(o dolorosa partida!)
Custa estrema dispedida
Prite parto a terr’anzena!

Antoni Zoseppe Solinas

In ferrovia, 1893

Il giovane poeta raggiunse Sassari, dove presso il Seminario Arcivescovile continuò gli studi in Teologia fino al 1895, anno in cui fece ritorno a Nuoro, dove il 21 settembre dello stesso anno fu ordinato sacerdote. Nel 1897 fu nominato canonico, diventando così per tutti i nuoresi il Canonico Solinas.

Lo spartito originale di “Adios Nùgoro amada”

Gli anni di studio trascorsi a Sassari furono anni molto difficili per il giovane poeta dall’aria sempre malinconica, costretto alla lontananza dalla sua Nuoro. Della città natia che aveva sempre nel cuore, ne ricordava i momenti più lieti e spensierati; in quel suo innato desiderio di tuffarsi nel vortice esaltante delle cricche degli amici di gioventù. Nei momenti che più forte si faceva la nostalgia, Antonio Giuseppe a Sassari cominciò a manifestarsi irrequieto ed a scrivere alati sogni in poesia. Allora, prendeva il suo fedele taccuino di pagine quadrettate e dava sfogo al suo estro poetico.

Il testo originale di “Adios Nùgoro amada”

Tanta era la nostalgia per la sua città natia, che una sera del 12 settembre del 1893, preso dallo sconforto e ricordando le spensierate serate di rebottas passate con gli amici nuoresi lo portò a scrivere nel taccuino: «…….. m’appenas ghiro a Nùgoro, bor juro chi m’at a parrer medichina s’abba!» (….. ma vi giuro che appena farò rientro a Nuoro l’acqua mi parrà medicina!). Ma la nostalgia nel poeta si fa ancora più struggente durante le festività, come per la ricorrenza della Befana, trascorsa nella fredda camerata del Seminario sassarese, quando scrive: «……. Ma sa Befana nostra est Anzelinu, su sacrista de Sant’Apollinare, chi sutt’ ‘e sa gappa battit su binu» (Ma la nostra Befana è Angelino, il sacrista della chiesa di Sant’Apollinare, che sotto il mantello ci porta il vino); o nei ricordi legati alla casa e alla famiglia, come dei versi della poesia Su sonniu (Il sogno). Dove l’austera vita in seminario, fatta di sacrifici e di rinunzie fa volare la fantasia del poeta, che sogna di stare seduto nella rustica cucina della sua casa, davanti al camino dove arde un fuoco schioppettate dove si arrostisce della profumata carne; mentre un generoso broccale gli versa del corposo vino. La scena descritta dal poeta è bella, ma tuttavia si tratta di un sogno, e purtroppo si sa, che i sogni belli durano poco: la sveglia, infatti, che sta accanto al letto del poeta, improvvisamente si mette a suonare: l’incantesimo è rotto, il poeta si sveglia e torna alla dura realtà di tutti i giorni, con la grande delusione di non aver potuto gustare le tanto sospirate prelibatezze neppure nel sogno.

Su sonniu (Il sogno)

Chind’ una canistedda ‘e pan’ iffustu
settiu ancas a ruche in su fochile
sonniau mi so cust’impuddile
cochende un’ispidada ‘e pett’arrustu.

Unu conzu a s’antica, pren’e mustu
a costazu juichio, e una barile
chi a buffare amabile e gentile
mi cumbidabat tottora chin gustu.

E a furri’ a fùrriu, a rujores
a focu lenu cochiat sa petta,
nde cossolabat solu chin s’odore.

Ma cando nde la boco e nche l’ispizo,
ecco s’isveglia a sonare deretta,
m’ischido, e chi fit sònniu m’abbizo!

Antoni Zoseppe Solinas
Tattari, 24 de Frevarju, 1894

Colpito da un male incurabile il poeta il poeta cessò di vivere il 27 febbraio del 1903. Morì serenamente, cantando fino all’alba con un flebile sospiro la sua Nùgoro, che tanto aveva amato.

Michele Pintore

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Sonia