Salvatore Fancello e la scuola ceramica di Dorgali: dal 2 giugno a Cala Gonone

La mostra nel centenario dalla nascita del grande ceramista

Saranno in mostra da giovedì 2 giugno al 28 agosto, nei locali della scuole elementari di via Cristoforo Colombo, oltre 300 ceramiche originali, opera di 16 ceramisti, presentati in una rassegna che da un lato riassume le specifiche produzioni di Dorgali del Novecento, e dall’altro propone un’importante énclave su Salvatore Fancello, del quale sono esposte oltre trenta importanti opere – alcune inedite –, soprattutto ceramiche.

Il 2016 segna infatti il centenario della nascita di Salvatore Fancello, occasione per un significativo momento di riconsiderazione e aggiornamento critico. L’esposizione è concepita per far conoscere – tramite la ricostruzione di un complesso scenario – il contesto che fa da corona all’opera del più famoso e riconosciuto ceramista dorgalese, premessa sinora non considerata dalla storiografia critica ma trattata quale fenomeno regionalista.

La mostra evidenzia quanto l’ambito ceramico di Dorgali sia alla base del percorso artistico di Fancello, che ne diviene la figura di superamento, internazionalizzandolo.

A corollario dell’esposizione è previsto un ciclo di incontri e iniziative di approfondimento.

Il catalogo della mostra (introdotto da un testo di Alberto Crespi) è curato dalla Ilisso Edizioni (così come l’organizzazione e l’allestimento della mostra) col patrocinio del Comune di Dorgali, assessorato alla Cultura.

LA STORIA DELLA CERAMICA MADE IN DORGALi: La terracotta decorata “a freddo” con vernici sintetiche – dalla seconda metà degli anni Venti sino a tutti gli anni Settanta del Novecento – tramite il made in Dorgali, ha costituito il marchio di un’inconfondibile tipologia ceramica della Sardegna, folklorica e popolare, affermatasi senza ombra di dubbio come la più diffusa anche oltre i confini regionali.

Nel secolo XX a Dorgali è fiorita un’importante “tradizione”, una vera e propria scuola, sulla quale questa iniziale tappa di studio segna la prima sistematizzazione e documentazione, finalizzata alla salvaguardia delle testimonianze disperse con l’incalzare della maiolica. Si vuole infatti fare emergere la sua rilevanza e la ricaduta sulle successive produzioni e generazioni di artigiani e artisti.

Il carattere principale e di maggior fascino di questi manufatti ceramici, stava nella secca geometria dei decori, ottenuti a rilievo, desunti dal ricorrente alfabeto segnico-metaforico rintracciabile nell’intera tradizione sarda e mediterranea di carattere popolare: dalla panificazione all’oreficeria, dal ricamo e tessitura alla pelletteria, dall’intaglio alla cestineria ecc.

Per la realizzazione di questo tipo di manufatti, più che del torniante, era necessaria l’esperienza dell’intagliatore, abile nel definire i decori a rilievo nella matrice per lo stampo. La produzione ceramica di tipo dorgalese nasceva da scelte tecniche tratte dalla prassi artistica di Francesco Ciusa, che aveva trovato in Ciriaco Piras un valido interprete.

A Dorgali, è stata così forte l’adesione degli artigiani alla produzione di ceramiche seriali destinate all’ambito turistico da cancellare e persino far dubitare dell’esistenza di una ceramica
d’uso quotidiano: molto poco, infatti, è documentato della ceramica dorgalese precedente gli anni Venti. Alcuni esemplari sono stati custoditi dal Museo Nazionale “G.A. Sanna” di Sassari, altri dal Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma.

Un nome che certo emerge tra i primi figoli di cui si ha notizia è quello di Giovanni Antonio Sotgia, padre di Salvatore e nonno di Michele Sotgia, ancora in attività.

E infatti Ciriaco Piras, uomo della svolta locale, vero e proprio capostipite, portando con sé quanto appreso dalla collaborazione con Ciusa, si è innestato in una tradizione caratterizzata da poche figure di ceramisti, soprattutto stovigliai, e al contempo ha proseguito la produzione di cuoi lavorati e legni intagliati, questi sì radicati a Dorgali.

Alla fine degli anni Venti, il laboratorio Piras registrava la presenza di Antonio Lovicu, Salvatore Fancello, Simone Lai e, dal 1930, di Paolo Loddo: le figure iniziali più rappresentative del periodo d’oro della produzione dorgalese, alla quale si deve sommare l’apporto di Giovanni Cucca e, in forma diversa, di Francesco Sale, il più capace tra i decoratori di Lai, poianche ceramista autonomo con un proprio marchio.

A far rinascere la manifattura di Ciriaco Piras sarà suo figlio Simeone che, alla fine degli anni Sessanta, mediante il supporto finanziario di Nino Marongiu, potrà vantare il primo forno a gas impiantato a Dorgali. In questa bottega, per un breve periodo, lavorerà anche Francesco Masuri, prima di intraprendere il suo personale percorso artistico.

Simeone Lai, figlio della sorella di Ciriaco Piras, ha aperto una sua bottega intorno al 1927, dove lavorava il cuoio per realizzare cuscini, cinture, borse. A partire dal 1935, il giovane Salvatore Fancello disegna per lui una linea marchiata Creazioni Fancello che avrà un grande successo, sottolineato anche da passaggi sulla rivista Domus. La Rinascente è stata tra i suoi clienti.

Allievi di Paolo Loddo sono stati i ceramisti Giuseppe Mula e Lorenzo Loi; l’attività di quest’ultimo prosegue attualmente con il figlio Lino. La svolta verso una differenziazione ha avuto quali precedenti la manifattura Del Carmen, con sede a Nuoro, fondata però già alla fine degli anni Quaranta in Argentina, dove si era trasferito il già citato Giuseppe Mula con Antoni Lovicu, soci fondatori.

Francesco Pisanu ha avuto bottega a Cala Gonone, ultimo dei primitivi/moderni nella realizzazione di fantastiche forme di animali presenti nella tradizione isolana.

La smaltatura del biscotto, fissata in seconda cottura, era stata affrontata nel secondo dopoguerra anche da Gianluigi Mele, residente oggi a Cala Gonone, figlio del pittore dorgalese che è stato anche ceramista, Pietro Mele.

La mostra si chiude con l’inclusione di una delle “glorie” locali che tengono alto nel contemporaneo il vessillo ceramico dorgalese: Caterina Lai, figlia di Simone e di Luisa Fancello (sorella del grande ceramista).

Fancello ha tracciato un nuovo solco per l’intera ceramica italiana. Come dire che con lui – mediante il personale dna formatosi fin da bambino intorno all’argilla – tutto il comparto dorgalese sia arrivato al traguardo dell’avanguardia internazionale, ottenuto dalla somma di tanti sforzi, spinte, apporti di vari ceramisti/artisti sardi.

E questo non trascurabile “peso” oggi, attraverso numerose mostre e pubblicazioni, si sta accreditando in maniera sempre più decisa e chiara, indicando con ragione per Fancello, e con
lui Dorgali, un posto di primo piano nel dibattito ceramico nazionale sul XX secolo.

La cospicua concentrazione di opere in mostra è di tale interesse da costituire un forte attrattore per i flussi turistici estivi. L’evento va infatti a rafforzare l’offerta di Dorgali e Cala Gonone – e più in generale dei grandi appuntamenti culturali del nuorese, ormai legato in un Distretto Culturale – con il Museo Archeologico, l’Acquario e nello specifico il Museo Civico “Salvatore Fancello”.

La raccolta di ceramiche presentata colma, seppure temporaneamente, una grave lacuna riscontrabile nel dibattito culturale della Sardegna: la totale assenza e mancata valorizzazione dell’aspetto ceramico dorgalese, peraltro assente anche dalle sedi museali. Questa esposizione in particolare, potrebbe costituire in nuce il primo nucleo di un necessario museo locale, auspicabile ampliamento al Museo Civico “Salvatore Fancello”.

Quanti operano nel settore, ricavandone occasione di studio diretto – temporaneo in mostra, permanente sul catalogo –, possono ricevere un forte impulso alla crescita nel personale lavoro, in continuità con la tradizione.

Si auspica che l’interesse suscitato dall’evento provochi il risollevarsi del livello qualitativo delle ceramiche oggi realizzate a Dorgali, sempre più caratterizzata da un nocivo appiattimento. In proposito è necessario sottolineare l’assoluta non conoscenza da parte degli operatori ceramici dei repertori passati, fatto che li ha esposti a divenire facile preda di una cultura globalizzata, in preoccupante affermazione.

Dando rilievo al settore ceramico, se ne auspica a breve termine la riconsiderazione sociale e con essa della figura artigiana del ceramista e della sua attività, oggi in evidente sofferenza.

Nel clima positivo e favorevole si attuerebbe al contempo la rivalutazione del patrimonio ceramico esistente oramai a rischio, che andrebbe invece salvaguardato e sottratto alla totale incuria, evitandone l’irrimediabile cancellazione; basti pensare a quanto già si è perduto per la parte degli oggetti d’uso quotidiano e di quelli patinati “a freddo”.

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Sonia