Incendi: la tragedia della guerra libanese conquista il pubblico nuorese in attesa di Covatta e Iacchetti

Sonia

Incendi: la tragedia della guerra libanese conquista il pubblico nuorese in attesa di Covatta e Iacchetti

martedì 29 Marzo 2016 - 17:16
Incendi: la tragedia della guerra libanese conquista il pubblico nuorese in attesa di Covatta e Iacchetti

Incendi andato in scena all'Eliseo di Nuoro

La stagione di Prosa dell’Eliseo di Nuoro volge al termine con grande successo di pubblico

Si avvicina alla conclusione la Stagione di Prosa del Teatro Eliseo di Nuoro (circuito multidisciplinare regionale del CEDAC), con un bilancio positivo in termini di seguito di pubblico. L’ultimo spettacolo in calendario, prima delle chiusura della stagione il prossimo 21 aprile con Matti da slegare, commedia che vede protagonisti Giobbe Covatta ed Enzo Iacchetti, è stato un vero successo: Incendi, testo impegnato dello scrittore libanese Majdi Mouawad, messo in scena da Sardegna Teatro per la sapiente regia di Guido De Monticelli.

Incendi andato in scena all'Eliseo di Nuoro

Incendi andato in scena all’Eliseo di Nuoro

L’allestimento, fortemente evocativo, campeggia a tutta scena rappresentando una sorta di Molo che poi diventa via via tunnel di fuga, casa e prigione, trasformandosi grazie alla bravura degli attori e ad accorgimenti scenici nudi: un pannello laterale per la proiezione di immagini essenziali al racconto e, sullo sfondo, una struttura praticabile sopraelevata a fare da tribunale. Il tutto illuminato da luci soffuse e concentrate che si fanno piene solo sul finale catartico e di rara intensità, affidato in particolare all’attrice Lia Careddu.

Incendi andato in scena all'Eliseo di Nuoro

Incendi andato in scena all’Eliseo di Nuoro

L’ombra e la notte dominano questo racconto attraverso la guerra civile libanese, l’invasione israeliana del paese, i massacri dei campi di Sabra e Chatila, gli orrori della prigione di Khiam. Eventi intuiti attraverso una narrazione spiazzante perché l’autore omette di nominare i luoghi, cambia i nomi, mescola date e procede per suggestioni che certamente sono risuonate nella memoria storica dello spettatore, ma con un effetto di spaesamento.

La narrazione procede su piani temporali paralleli dove presente e passato si intersecano e si fondono in scena, con due attori diversi che rappresentano, contemporaneamente, lo stesso personaggio, dando vita a un doppio teatrale che potenzia il senso di drammaticità, o un solo attore che recita ruoli diversi tessendo un fil rouge di grande tensione.

«Incendi – ci assicura il regista De Monticelli – è stato una vera folgorazione, un testo con un grande radicamento nella realtà e nell’attualità, ma ricco di sapienza classica che è la capacità di aprire un epos, un percorso, un viaggio di formazione, di educazione, di conoscenza di sé, un testo che ci parla per enigmi che devono essere sciolti». Fortissimo il richiamo al mito di Edipo, artefice inconsapevole del delitto su cui egli stesso indaga.

Allo stesso modo, i protagonisti di Incendi sono costretti ad affrontare l’esperienza durissima dello scavo nel passato che è anche ricerca della verità, scontro inesorabile con le contraddizioni del sentire e dell’agire umano. Lo stesso autore del testo, Wajdi Mouawad ha affrontato un percorso di riappropriazione del suo passato attraverso la scrittura teatrale della tetralogia Il Sangue delle Promesse, di cui fa parte Incendi, interrogandosi sulla brutalità della violenza nel mondo contemporaneo e ponendo la domanda se il teatro possa ancora consolare il nostro tempo. Il dramma si apre alla morte della protagonista, “la Donna che canta”, che affida ai suoi due figli gemelli il compito di compiere un viaggio nella memoria storica del paese, alla ricerca della loro vera identità. Il loro padre abusò ripetutamente di lei quando si trovava imprigionata per aver attentato alla vita di un miliziano. Il torturatore non sa che lei, “la Donna che canta” è la sua stessa madre.

La madre non sa che il torturatore è il suo figlio perduto, fino allo svelamento delle identità, davanti al tribunale che inquisisce il torturatore, ridotto a una cinica maschera di non curanza. Di grande effetto la lettura delle lettere della madre che si rivolge prima al carnefice e poi al figlio, nella realtà fusi in un unico essere umano, ma separati nel suo sentire di donna abusata e di madre. Racconti forti per lo spettatore, tenuto col fiato sospeso fino alla catarsi, rappresentata teatralmente da un acquazzone, che lascia emergere forte la pietas, come forma alta e consapevole di perdono e il tema della giovinezza, parallelo a quello degli orrori della guerra, che riemerge come forza vitale e fiducia nelle nuove generazioni.

Patrizia Viglino

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